È un giorno d’autunno del 1799. A Lyme Regis, una piccola e modesta località di mare sulla costa sudoccidentale dell’Inghilterra, c’è una sagra o qualcosa del genere. Gli abitanti del paese si riversano per le strade a fare festa, nonostante un cielo plumbeo, spazzato dalle nuvole, incomba sulle loro teste. All’improvviso comincia a piovere, una pioggia scrosciante e violenta, che non promette nulla di buono. Una donna, con una bambina di pochi mesi tra le braccia, che le è stata affidata per qualche ora pur non essendo sua figlia, cerca riparo sotto le fronde di un albero robusto. Le sembra una buona idea, ma non lo è affatto.
Un fulmine si abbatte sull’albero e incendia il tronco. La donna muore all’istante. La bambina cade a terra, apparentemente senza vita. Ma dopo pochi minuti, qualcuno si accorge che quel corpicino respira ancora. Il fulmine non l’ha uccisa, forse perché nella vita c’è un compito ad attenderla: trovare i fossili di rettili estinti milioni di anni prima e scrivere una pagina importante, tutta al femminile, della paleontologia.
Quella bambina, scampata al fulmine e per questo da tutti considerata una miracolata, si chiamava Mary Anning e la sua storia è davvero incredibile. A raccontarla, per i lettori più giovani, è Annalisa Strada nel libro La cacciatrice di fossili. Mary Anning si racconta, per la collana ‘Donne nella scienza’ di Editoriale Scienza, illustrazioni di Daniela Tieni.
Spulciando in rete, sono tanti i documentari e i video d’animazione che ne ripercorrono la biografia e ne sottolineano gli straordinari meriti scientifici, nonostante le sue umili origini e la formazione da autodidatta.
Mary nacque il 21 maggio del 1799 all’incrocio delle scogliere delle contee del Dorset e del Devon, in una zona ricchissima di fossili, la Jurassic Coast, non a caso dichiarata dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 2001.
Fu l’unica di dieci figli, assieme al fratello Joseph, a sopravvivere. Suo padre, Richard Anning, era il falegname del paese: creava e aggiustava mobili. Sua madre, Molly, oltre a prendersi cura dei troppi neonati e della casa, faceva il bucato per qualche vicino, così da arrotondare le magre entrate.
La passione per i fossili, i “ninnoli” come all’epoca venivano appellati, la piccola Mary Anning l’ereditò dal padre. Fu lui che le insegnò a distinguere una vertebrella da un artiglio del diavolo, una pietra serpente da un dente di squalo. Gli ammoniti, ossia i fossili di invertebrati marini estinti, si trovavano facilmente sulla spiaggia, soprattutto dopo le frequenti mareggiate. La gente del posto attribuiva a quelle strane pietre poteri taumaturgici: le considerava preziose per curare i reumatismi o scacciare le vipere.
Richard Anning era esperto nel riconoscerle, pulirle e rivenderle ai turisti per qualche soldo, e fu bravissimo nel trasmettere tutto quello che sapeva a riguardo a sua figlia. Mary adorava seguirlo sulla spiaggia nelle sue ricerche. Era una bambina selvaggia, con i capelli sempre incrostati di salsedine, la pelle cotta dal sole e le unghie nere per il fango. Non aveva una buona reputazione in paese, né mai l’avrebbe avuta: la gente non vedeva di buon’occhio che una ragazzina se ne andasse in giro a raccogliere pietre, invece che stare a casa con la mamma e aiutarla nelle faccende domestiche.
Ma a Mary non importava nulla di quello che si mormorava in giro. Sarebbe cresciuta con uno spirito libero e solitario, incurante delle opinioni altrui e delle convenzioni femminili, e sua grande amica e complice divenne una signorina di buona famiglia, Elizabeth Philpot, trasferitasi assieme alle sue sorelle da Londra sulla costa.
Con Elizabeth, Mary condivideva la passione per i fossili; quelle strane pietre le ispiravano storie e sollecitavano curiosità. Sapeva a malapena leggere e scrivere, e di certo non aveva studiato anatomia. Ma eviscerando e disossando pollame e selvaggina, aveva capito come stanno insieme le ossa e le articolazioni. E allora le veniva spontaneo porsi alcune domande:
Perché alcuni di questi animali e conchiglie pietrificati, che avevano come ambiente il mare, si trovavano seppelliti sotto strati di rocce e perfino sulle cime delle nostre scogliere? Come ci erano finiti lassù?
Quando aveva appena 11 anni, suo padre morì, lasciando lei, sua madre e suo fratello in un mare di debiti. Quello che fino a quel momento ero stato poco più che un passatempo, divenne per Mary un lavoro a tutti gli effetti: cercare fossili e rivenderli al miglior offerente.
Col tempo, il suo fiuto, la sua vista acuta e la sua ostinazione l’avrebbero resa artefice di alcune scoperte davvero eccezionali: nel 1811, assieme a suo fratello Joseph, scoprì il cranio di un Ichtyosaurus, un rettile marino, e l’anno successivo riuscì a trovarne tutto il corpo.
La fama di questa ragazzina abilissima nel trovare i fossili e pulirli cominciò a diffondersi e a circolare anche negli ambienti scientifici dell’epoca. Molti studiosi vollero incontrarla e osservarne da vicino le ricerche, tra questi i geologi William Buckland e Henry De la Beche, che le furono amici per tutta la vita, e il tenente colonnello Thomas James Birch, che volle donare alla famiglia Anning il ricavato di un’asta dove aveva messo in vendita i fossili acquistati dalla giovane Mary: ben 400 sterline.
La consacrazione di Mary Anning, come donna capace di influenzare con i suoi ritrovamenti e le sue ipotesi le teorie che all’epoca circolavano in merito alla paleontologia, arrivò nel 1823, quando ritrovò lo scheletro di un enorme rettile marino, il plesiosauro, che destò non poco scalpore nella comunità scientifica.
Georges Cuvier, uno dei massimi scienziati del tempo, analizzando uno schizzo della strana creatura, l’accusò di aver unito due scheletri di animali diversi. Ma quando ricevette un disegno più dettagliato, dovette ammettere di essersi sbagliato. Fu il geologo e paleontologo William Daniel Conybeare a perorare la causa di Mary Anning e a difenderne, con un’arringa accorata, la credibilità scientifica contro le accuse di Cuvier di fronte all’uditorio della Geological Society di Londra, dove Mary, in quanto donna, non venne mai ammessa.
Non so che avrei dato per poter essere lì ad ascoltare con le mie orecchie, ma le donne non erano ammesse alla Geological Society. Non potevano essere socie e non potevano nemmeno mettere piede dentro la sede come ascoltatrici. L’unico modo di entrare era essere in servizio nelle cucine, dove si lavorava senza sapere nulla di ciò che avveniva nelle altre stanze.
Per tutta la sua vita, Mary Anning si dedicò alla raccolta, allo studio e alla vendita di fossili e alla ricostruzione di scheletri di interi animali in maniera davvero ineccepibile. I suoi ritrovamenti confermarono l’idea che davvero c’era stata, milioni di anni prima, un’era in cui i rettili dominavano i cieli, i mari e le terre, e soprattutto che l’origine del creato fosse molto più antica di quanto le teorie religiose non avessero fino a quel momento lasciato intendere.
Con i risparmi, a 27 anni comprò una casa e al primo piano aprì una bottega la cui insegnava riportava: Anning’s Fossil Depot.
Molti turisti acquistavano i pezzi esposti per pura curiosità, molti altri per interessi scientifici o per arricchire le proprie collezioni o quelle di qualche museo, come il Natural History Museum di Londra, dove è tutt’oggi esposta la più completa raccolta di rettili marini di Mary Annings.
Grazie ad Elizabeth Philpot, che divenne una sua fedele collaboratrice, Mary riuscì a procurarsi libri e articoli scientifici, che diligentemente analizzava e all’occorrenza criticava. Sua fu la scoperta, ad esempio, che alcuni strani sassi friabili altro non fossero che feci fossilizzate, i cosiddetti coproliti.
Gli ultimi anni della sua vita furono difficili a causa delle precarie condizioni di salute e delle ristrettezze economiche, motivi per i quali Buckland intercedette presso la nuova British Society for the Advancement of Science per farle ottenere una pensione minima.
Mary Anning morì il 9 marzo 1847, a soli 47 anni, per un cancro al seno. L’amico De la Bèche, presidente della Geological Society, ne pronunciò l’elogio funebre davanti all’assemblea, come se ne fosse stata uno dei membri.
La sua figura sarebbe forse finita nel dimenticatoio se uno scrittore del calibro di Charles Dickens non ne avesse, anni dopo, raccontato la vita sulla rivista letteraria All Year Round, definendola come la “figlia del carpentiere che si guadagnò un nome tutto per sé e se lo meritava”.
Nel 2010, in occasione del 350esimo anniversario di fondazione, la Royal Society ha inserito il nome di Mary Anning nella lista delle dieci donne inglesi che più di altre hanno contribuito alla storia della scienza. Un riconoscimento straordinario, sia pur tardivo, per una donna nata povera, cresciuta e vissuta in un paesino della costa inglese da cui non si sarebbe mai allontanata nel corso della sua vita, autodidatta e senza alcun titolo di studio, vissuta libera e in maniera anticonformista (non si sposò mai), ma che sicuramente la ripaga, a posteriori, degli sforzi, del rigore scientifico e dell’impegno profusi in vita per affermarsi a tutti gli effetti come una scienziata e anche dei torti e delle ingiustizie subiti in quanto donna.
Recentemente, proprio il Natural History Museum ha voluto promuovere la realizzazione di un film sulla sua vita.
Lo spirito indomito di Mary Anning probabilmente ancora oggi aleggia lungo le scogliere, battute dal vento e dalle onde, della Jurassic Coast. C’è chi giura di aver intravisto la sua sagoma e quella del suo inseparabile cagnolino Tray subito dopo una mareggiata. C’è chi dice che basti accostare una pietra serpente all’orecchio per ascoltarne la voce. Chissà. Se un giorno vi capiterà di andare a fare un viaggio nel Sud dell’Inghilterra, potrete verificare di persona. Nel frattempo, non ci resta che leggere e rileggere questa storia meravigliosa: la storia della bambina del fulmine.
Per i grandi che vogliono approfondire:
- la puntata di Wikiradio con il racconto della vita di Mary Anning a cura di Telmo Piovani;
- il romanzo di Tracy Chevalier ispirato alla vita di Mary Anning, Strane Creature, Neri Pozza Editore 2009.
La cacciatrice di fossili. Mary Anning si racconta
Nel 1812, in Inghilterra, una ragazzina di tredici anni trova il fossile di uno strano mostro marino, oggi conosciuto come Ittiosauro. Inizia così la sua carriera di cercatrice di fossili. È la prima a portare alla luce il primo plesiosauro e uno dei primi pterodattili. Di famiglia poverissima, Mary arrotonda le scarse entrate familiari vendendo i fossili di ammoniti che trova sulla spiaggia, ma la sua vera passione - e bravura - è ricostruire lo scheletro intero di creature mai viste prima. Pur non essendo istruita, legge e critica articoli scientifici e discute alla pari con i più importanti scienziati e studiosi dell'epoca; il suo unico problema è che è una donna e per di più di umili origini.
Età di lettura: da 11 anni.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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