Nel mezzo dell’Oceano, nel pieno della notte più nera del nero che avvolge tutto e che si fonde con l’acqua in subbuglio, la tempesta mugghia e alza i marosi come fossero montagne d’acqua. Il vento è un gigante che ˗ così vicini al Polo Nord ˗ sbuffa cristalli di gelo. Un bagliore di saette che tarda a spegnersi illumina un tratto di nave che solca le onde.
L’incipit, da fiaba nordica, è di quelli che si imprimono al primo ascolto nella mente e che riescono, con la sola forza di un’immagine, a catturare l’attenzione e destare la curiosità degli astanti, magari ˗ come si conviene alla stagione ˗ raccolti in cerchio attorno al lettore e riscaldati dal tepore di un camino, mentre fuori la tempesta imperversa.
Ivar e Svala. Fratelli vichinghi di Franco Cardini, il secondo volume della nuova collana Celacanto dedicata alla letteratura per ragazzi (Laterza, pp. 62, euro 18), è un libro che ripercorre la storia dei Vichinghi, sospesa tra mito e realtà, a partire dalla vicenda di due fratellini, Ivar e Svala, che dopo un lungo viaggio sbarcano sull’isola di Terranova.
A trasportarli, al riparo nella stiva, è uno knarr, la tipica nave vichinga con la prua allungata a forma di serpente marino e le alte paratie decorate da file di ruote dipinte e istoriate.
Oleg e Askold, i due omaccioni dalle barbe lunghe e rosse, che guidano la nave e sfidano i marosi, hanno ricevuto il compito di affidare i due “gioielli”, come chiamano i fratellini, alle cure del vecchio Fullberth, che vive sulla costa all’interno di un wic, il tipico villaggio vichingo.
Rhalljonn, il padre di Ivar e Svala, che si è occupato dei due ragazzini dopo la morte della moglie, non può più farlo perché sta per partire in battaglia. Un giorno tornerà o forse no, ma nel frattempo non gli resta che affidare i suoi figli alle cure del vecchio amico e fratello di sangue. Con lui saranno al sicuro e col tempo impareranno a convivere con la malinconia e accetteranno il distacco.
Le cure amorevoli e l’ospitalità del vecchio Fullberth non bastano tuttavia a smorzare i sospetti e l’ostilità dei fratellini, di Ivar soprattutto, arrabbiato con suo padre per averlo mollato lì all’improvviso, in compagnia di quello che sembra un orso per quanto è alto e possente. Profondo è il suo risentimento e tanta la voglia di scappare. Ma Fullberth è paziente, altre volte ha accolto bambini vichinghi nel suo villaggio e sa come conquistarsene la fiducia e il rispetto: attraverso le storie, quelle che legano gli uomini del passato al presente e che da sempre si tramandano di padre in figlio.
“Facciamo così”, dice: “… Lavorate con me durante il giorno… Che è un modo per essere utili al villaggio e per conoscerci… E dopo il lavoro… Un premio, la sera”.
E così, ogni sera, raccolti attorno ad un braciere, Ivar e Svala stringono tra le mani le loro ciotole colme di miele e Fullberth si trasforma, da abile artigiano nella lavorazione dei metalli qual è, in scaldo, cantastorie.
Nelle storie di Fullberth, il mito ˗ la storia di Thrymm, il ‘Gigante Frastuono’, che volle rubare il martello di Thor il Divino ˗ si intreccia al racconto delle vicende passate del popolo dei Vichinghi. Quanti porti furono conquistati e quante città devastate e tutto fu compiuto solo e soltanto per sete di conquista e desiderio di accaparrarsi quanto più oro possibile. Ce n’è voluto di tempo, tanto sangue è stato versato prima che si capisse che depredare la gente non è la soluzione e che lungo è il cammino verso la conoscenza.
Il calore delle storie di Fullberth pian piano scalda il cuore dei due fratelli e scaccia via gli ultimi residui di diffidenza. È giusto che il loro padre li abbia lasciati con il vecchio, perché lui intanto, assieme a tanti altri, sta cercando una nuova Terra dove costruire il futuro.
Il vero scaldo del libro è in realtà l’autore stesso, il noto medievista Franco Cardini, che qui sveste i panni dello studioso e assume con altrettanta naturalezza quelli del narratore. Quella che si snoda pagina dopo pagina è una storia di fratellanza e amicizia ma è anche una storia nel senso letterale del termine, che abilmente mescola elementi di fantasia a riferimenti a vicende reali, nozioni linguistiche a informazioni sugli usi e costumi di un popolo antico. A fare da collante, le potenti illustrazioni di Lucio Villani, dai colori forti e decisi e indubbiamente nutrite di suggestioni pittoriche. Come non riconoscere nell’onda che si alza minacciosa in direzione del villaggio il riferimento alla “Grande onda di Kanagawa” del pittore Hokusai?
A cosa servono le storie? Perché dovremmo far leggere ai nostri ragazzi la storia di Ivar e Svala? È Fullberth stesso a dircelo in chiusura e le sue parole suonano come un monito: «
Io ci sono perché voi non dimentichiate mai da dove venite. Perché senza conoscere il passato è molto più difficile costruirsi il futuro. Che comunque, miei adorati, spetta a voi! E non ci saranno mai demoni o draghi del mare che vi impediranno di essere quello che volete essere, se voi non glielo permetterete….
Ivar e Svala fratelli vichinghi
Ivar e Svala sono due bambini vichinghi che sbarcano dopo un lungo viaggio in mare sull’Isola di Terranova. Insieme a loro scopriremo la storia del popolo vichingo: la maestria nella lavorazione dei metalli, la tradizione dei miti e delle divinità, l’arte della navigazione, le conquiste per mare, le esplorazioni transoceaniche. Le avventure dei due fratellini si ispirano a una ricostruzione storica ormai accreditata: il Nord America è stato scoperto dai Vichinghi ben cinque secoli in anticipo rispetto a Cristoforo Colombo. Fu il capo vichingo Erik il Rosso (940-1010 d.C. circa) a sbarcare per primo in Groenlandia nel 985 d.C. e, sulle sue orme, il figlio Leif esplorò la parte settentrionale dell’isola canadese di Terranova. Lì, ancora oggi, si possono osservare i resti di un insediamento vichingo dell’XI secolo. Proprio lo stesso dove, in queste pagine, Ivar e Svala ascoltano le storie del loro popolo dalla bocca dell’anziano Fulberth. Età di lettura: da 6 anni.

Io e l’archeologia non ci siamo amate fin da subito. Quando da bambina incontrai un’archeologa, capii che passare ore sotto al sole piegati, sporchi di terra e sudati non poteva fare per me. Ma come nelle migliori storie, gli amori più grandi nascono da scontri all’apparenza definitivi.
Da circa sette anni mi occupo di didattica, mi diverte molto cercare i linguaggi adatti e creare le esperienze giuste per coinvolgere i bambini anche i più scettici come lo era la sottoscritta tanto tempo fa.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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