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Intervista ad Emanuela Pulvirenti, blogger di Didatticarte

La storia dell’arte permette di conoscere le nostre origini. La prima vera attività che ha distinto l’uomo dagli animali, infatti, è stata l’arte. Il disegno nacque prima della scrittura ed è stato la prima forma di comunicazione degli uomini.

Questa è una delle prime sette ragioni per cui bisognerebbe studiare la storia dell’arte che, qualche tempo fa, Emanuela Pulvirenti riportava, sul suo blog Didatticarte, in un post che io appenderei in tutte le aule delle scuole di ogni ordine e grado e perché no, anche dietro la scrivania di qualche Ministro.

L’ho scelta perché anche lo studio dell’archeologia ci è utile per conoscere qualcosa in più di noi stessi, di quello che siamo diventati nel tempo e di come abbiamo trasformato a seconda delle nostre esigenze i luoghi in cui viviamo.

Emanuela è un architetto, esperto in illuminotecnica, e un’insegnate di “Disegno e Storia dell’Arte” alla scuola superiore. Il suo blog è una miniera di bellezza, idee, creatività, curiosità, arte nell’accezione più ampia del termine. Non è soltanto uno strumento didattico per accostarsi nella maniera più corretta allo studio dell’arte, ma è anche un racconto vivo e appassionato di come le creazioni artistiche, di qualsiasi tipo esse siano, possano stravolgere e arricchire la vita sia di chi ne è autore sia di chi ne è fruitore.

Ho intervistato Emanuela per Archeokids – e la ringrazio per la sua disponibilità e cortesia – perché credo che oggi più che mai, agli storici dell’arte come agli archeologi e a tutti coloro che si occupano di beni culturali, spetti uno dei più compiti più delicati e difficili per la reale sopravvivenza del nostro patrimonio: educare al bello e lavorare di comune accordo affinché questa educazione si costruisca nelle scuole, sin dall’infanzia, oltre che nei musei e nei parchi archeologici.

1. Quando nasce la tua passione per la storia dell’arte?

Credo che sia nata insegnandola. Non l’ho mai potuta studiare bene né a scuola né all’università, a parte la storia dell’architettura. Ma ho scoperto tutto il suo fascino nel momento in cui ho avuto la necessità di spiegarla e raccontarla ai miei studenti. Ho dovuto prima raccontarla a me stessa e me ne sono innamorata!

2. Tu sei un architetto – con un dottorato di ricerca alle spalle anche – che a un certo punto però ha cominciato ad insegnare “Disegno e Storia dell’arte” presso la scuola superiore. Ripiego in assenza di altre possibilità lavorative o scelta consapevole?

Né l’uno né l’altra. È stato un caso, una scelta del destino. Subito dopo la laurea ho partecipato al concorso a cattedra del 1999 senza nessun interesse specifico verso l’insegnamento tant’è vero che mi sono dedicata per anni solo all’illuminotecnica, la disciplina nella quale mi ero specializzata. Poi nel 2006 sono stata assunta in quanto vincitrice di concorso. Ho accettato con l’idea che non sarebbe diventata la mia attività esclusiva (ancora oggi sono in part-time) e che se non mi fossi trovata bene ad insegnare avrei lasciato. Beh, non ho più lasciato perché ho capito che mi piace.

3. Che ruolo ha l’insegnante oggi? Prova inoltre ad indicarmi l’aspetto più difficile e quello più appassionante del tuo lavoro.

L’insegnante ha un ruolo delicato. Fa da tramite tra gli studenti e la disciplina, deve metterli in condizione non solo di comprenderla ma anche di apprezzarla.

Il momento più difficile è conquistarsi la fiducia degli studenti. I miei all’inizio sono sospettosi, hanno pregiudizi verso gli insegnanti in generale e verso la materia in particolare, giudicata noiosa e inutile. La parte appassionante è proprio vedere nascere progressivamente un interesse e un coinvolgimento prima inesistenti; scoprire che durante le vacanze vanno a visitare dei musei e che ci tengono a mostrarti le foto di tutto quello che hanno visto. Sapere di aver trasmesso il piacere dell’arte, al di là delle nozioni, è il risultato più gratificante.

4. Che cosa significa oggi, in un Paese in cui la situazione dei beni culturali non è certo delle più rosee e ancora troppo scarsa è l’attenzione nei confronti del nostro patrimonio storico-artistico, essere insegnante di storia dell’arte?

È una responsabilità in più, perché oltre ad insegnare la storia del nostro patrimonio bisogna riuscire a far nascere un senso di amore e identificazione nei confronti del patrimonio stesso. Non basta la conoscenza, ci vuole anche la comprensione dei problemi legati alla tutela e alla valorizzazione.

5. Quello tra architetti e archeologi è davvero, secondo la tua esperienza, un rapporto complicato e a volte conflittuale?

Non per quanto mi riguardi. Quando ho lavorato come illuminotecnico per la valorizzazione di siti archeologici non ho mai avuto situazioni di conflitto con gli archeologi. Anzi, poter lavorare fianco a fianco mi ha permesso di comprendere più a fondo le specificità di un sito e di capire meglio il modo in cui illuminarlo. Credo che dipenda dall’atteggiamento con cui mi pongo verso il patrimonio: valorizzarlo per me significa permetterne una fruizione completa che non ne alteri il significato e che non lo danneggi in nessun modo. Non posso che trovarmi in sintonia con il lavoro dell’archeologo.

6. Che posto ha l’archeologia nei tuoi programmi d’insegnamento?

Purtroppo le mie due ore settimanali (di cui una di disegno) non mi consentono di approfondire molto questi aspetti. Ma di questioni riguardanti l’archeologia, dallo scavo alla musealizzazione, mi capita di parlare spesso, soprattutto al primo anno, quando affrontiamo la preistoria e le civiltà antiche.

7. Ti capita di accompagnare in visita i suoi studenti a qualche sito archeologico, visto che vivi e lavori in Sicilia, terra ricca di cultura antica?

Mi è capitato in passato (purtroppo adesso le visite didattiche si stanno riducendo drasticamente). Ed è sempre un’esperienza molto ricca ed efficace: poter studiare l’architettura greca passeggiando attorno ad un tempio rende indimenticabile ciò che si è appreso. Cogliere la luce, i dettagli, le proporzioni e soprattutto le reali dimensioni dei monumenti visitati è tutta un’altra storia rispetto allo studio sul libro, attraverso una piccola foto e una pianta.

8. Spesso si parla dell’opportunità di “educare al patrimonio” sin da bambini, cosa che in piccolo noi di Archeokids stiamo provando a fare. Tu che strategie, strumenti, attività, insegnamenti usi per appassionare i tuoi studenti alla storia dell’arte e al senso del bello?

Sostanzialmente cerco di far vivere loro delle esperienze concrete. Interpretare fisicamente le opere d’arte, riprodurle con tecniche miste, fotografare nello stile degli autori. E poi, quando lavoriamo su un autore, mi piace mostrare quanto di attuale abbia ancora il suo messaggio. Così, se stiamo studiando le Tre Grazie di Canova, scopriamo che la loro iconografia è usata ancora nella pubblicità. Se stiamo affrontando il tema della Medusa arriviamo ai cartoni dei Simpson e al logo di una casa di moda… Il mio obiettivo è educarli al piacere dell’arte e ad ampliare il concetto tradizionale del ‘bello’ anche a ciò che a prima vista non lo è affatto, una questione non da poco nel momento in cui parliamo di arte contemporanea.

9. Quando e perché è nato il tuo seguitissimo blog “Didatticarte” e cosa pensano i tuoi studenti di un’insegnante blogger?

Didatticarte è nato inizialmente, nel 2011, come sito-archivio per permettere ai miei studenti di scaricare i materiali che proiettavo in aula: presentazioni, ipertesti, video e altro. È diventato un blog solo per caso, nel 2013. Non sapevo bene cosa farne, all’inizio. Poi ho cominciato a scrivere di ciò che avrei voluto fare in classe, o quello che realmente avevo fatto. Ho cominciato a raccontare l’arte seguendo dei percorsi per tema (le nuvole, i testi visivi, il quadrato, etc. etc.) più per il gusto di mettere ordine nelle mie raccolte di immagini che per uno scopo ben preciso. Tutto questo, con mia grande sorpresa, è stato apprezzato da tantissimi lettori.

Quello che, invece, pensano i miei alunni riguardo questa attività non saprei dirlo. Dovresti chiederlo a loro… So per certo, però, che in tanti leggono quello che scrivo, anche se nella maggior parte dei casi non me lo dicono. Ma a me va bene così. Non voglio far diventare il blog uno strumento didattico ufficiale: nel momento in cui dovessero assimilarlo ad un compito credo che perderebbero ogni interesse a curiosarci dentro.

10. Immagina di rivolgerti ai bambini, genitori, educatori, archeologi, insegnanti, comuni cittadini che leggono il nostro blog e che visitano musei, siti archeologici, partecipano o organizzano laboratori didattici, sperano (come noi) che gli archeologi e gli storici dell’arte – come tutti coloro che lavorano nel settore dei beni culturali – diventino sempre più necessari e insostituibili in una società che sembra invece poterne fare a meno. Cosa diresti loro e cosa consiglieresti a noi cinque “archeokidders”?

A questi interlocutori direi di andare a scovare tutti coloro che non visitano musei né siti archeologici, non partecipano né organizzano laboratori didattici, non sono interessati al ruolo di archeologi e storici dell’arte e di far scoprire loro quanto sia importante conoscere il nostro patrimonio (cosa impossibile senza la mediazione di archeologi e storici) per poterlo tutelare e valorizzare. Vorrei spiegare che non basta riempirsi la bocca con bufale del tipo ‘abbiamo l’80% del patrimonio del mondo’ oppure ‘l’arte è il petrolio d’Italia’. Vorrei far capire che occorre guardare ai beni culturali in modo più obiettivo e umile e che non sono vacche da mungere. Che è giusto offrirne la fruizione ma senza voler far diventare il patrimonio un prodotto di consumo. Insomma, ci vuole intelligenza e cultura!

11. Ultimissima cosa. Salutiamoci con un dipinto che possa andar bene per un blog come il nostro che mette assieme archeologia e bambini. Quale scegli?

Scelgo uno dei dipinti più antichi del mondo: le impronte di mani nella Cueva de las Manos, in Argentina. Lo scelgo perché è suggestivo, colorato, preziosissimo (è patrimonio dell’Umanità dal 1999) e soprattutto perché è realizzato attraverso lo stesso gesto istintivo che fa il bambino quando comincia ad usare la matita: tracciare il contorno della mano sul foglio come forma elementare e istintiva dell’atto di lasciare il proprio segno nel mondo. Come i bambini, quegli uomini primitivi hanno voluto dire: “io esisto!”.

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