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Quella volta che ho visto il Medioevo: mani in pasta.

La scorsa settimana il racconto di Simone ci aveva condotti sin qui, con un’intera classe rimasta a bocca aperta per l’accensione del fuoco…


Eravamo ancora tutti rapiti dalle fiamme del fuoco appena acceso che subito l’archeologo attirò la nostra attenzione su un argomento che col
fuoco c’entrava in pieno.

“Non pensate sia ora di uno spuntino ragazzi?”
“Sììììì!!! Merenda!!!”

Il gruppo di oche che ci aveva accolto all’ingresso nel frattempo ci aveva raggiunto, forse solo per curiosità, ma io avevo il sospetto che fossero ritornate per riscattare quella merenda che non avevano ancora consumato e banchettare con Mazu.

 

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“Va bene vi offro io qualcosa di buono.”
Un piatto ligneo offriva delle invitanti formelle rotonde di pane, leggermente appiattite, con qualche bruciacchiatura, ma ai nostri occhi con qualcosa che andava oltre il saporito. Brombin con uno scatto degno di una rana del Borneo afferrò una pagnotella che sparì in un nano secondo dentro le sue paffute fauci, seguite a ruota libera da mani fameliche che agguantavano brandelli di pane come cavallette su un campo di grano.
Ad un certo punto ci cominciammo a guardare stupiti, quasi come fossimo stati raggirati. I nostri denti avevano cominciato a fare a botte con
dei micro granellini di sabbia contenuti all’interno di quel pane gentilmente offerto…

 

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“Bene ragazzi, sentite che c’è qualcosa a cui non siamo abituati vero? Questa sabbiolina che stride allegramente sui nostri nuovissimi dentini…Beh adesso vedremo come ci è finita.”
L’archeologo prese una serie di contenitori e sparse sul tavolo una serie di sementi e una serie di pianticelle secche. Erano semi di orzo,
miglio, farro, spelta, molto diversi da quelli prodotti oggi. Ci spiegò i tipi di coltivazioni che si facevano nell’altomedioevo, prima della cosiddetta rivoluzione agraria che forse in realtà non è stata poi una rivoluzione, perché di fatto nessuno si prese a botte come normalmente succede in una rivoluzione come si deve.

In quel mentre la Ganazzin mi guardò con occhietti teneri chiedendomi: – Lo vuoi il mio pezzo di pane? –
Restai pietrificato probabilmente per 2 secondi che, nella personale percezione interiore del tempo furono almeno 2 settimane. Stavo probabilmente provando quello che molti anni più avanti scoprii essere lo “zerbinaggio” da ammaliamento. Ma in quel momento i suoi occhi mi dicevano solo una cosa: mangia questo meraviglioso pezzo di pane! E così feci, guadagnandomi un generoso sorriso dalla Ganazzin e uno di rancore dalla Mariolli con tutta l’incoscienza di chi non aveva ancora capito certe dinamiche di comportamento.
Mazu nel frattempo aveva assaggiato un chicco di grano crudo, visto che era sempre in cerca di nuove esperienze sensoriali.
L’archeologo ci mise di fronte una serie di pietre, alcune lisciate e irregolari altre chiaramente lavorate.

“Bene ragazzi, tiè, fatevi il pane. Se ci andava bene e avevamo avuto un anno di buon raccolto, pagate le nostre gabelle ovvero tasse, eravamo solo a metà dell’opera! Come si fa il pane ragazzi?”

“Con la farinaaaa! Tutti in coro come pecorelle”

“E come si macinava la farina?”
“Con il frullimix! – disse Mazu. Ma questa volta non attirò l’attenzione di nessuno.”

“Si macinava con delle mole di pietra, inizialmente come quelle che si usano, pensate, tutt’ora presso alcune popolazioni indigene.
Successivamente le pietre vennero lavorate in forme più efficienti formate da due dischi, uno concavo e uno convesso soprapposti su cui
i chicchi venivano inseriti dal foro centrale in alto. La rotazione unita al peso “spremono” il chicco trasformandolo in farina. E’ in questa fase che talvolta un minimo di pietra insieme ad un ambiente non del tutto pulitissimo, finisce nella farina e successivamente in mezzo ai denti, provocandoci quel senso di fastidio.”
Ci disse poi, che erano stati condotti degli studi sulle dentature dei morti dimostrando l’esistenza di consumi anomali causati proprio da questi granelli. Mi ricordai, allora, di avere visto in una mostra, che esistevano una serie di analisi chimiche da fare sui denti, che permettevano di scoprire il tipo di alimento. Quindi avrebbero potuto capire che mi mangiavo di nascosto caramelle alla cannella che tanto piacevano a mio papà!

 

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Poi ci fece vedere alcune immagini di macine utilizzate nel medioevo e ritrovate sugli scavi. Era affascinante capire l’importanza avuta nella Storia da una piantina che prima di conoscere l’uomo, probabilmente, nella società delle piante era un po’ sfigata.
Pensavo a ciò mentre immaginavo un dialogo tra due margherite che si parlavano con gergo aristocratico – Miss Rita, ha visto che bvutte che sono quelle spighe di sovgo? come sono dozzinali – Ha pvopvio rvagione Marg. –

 

“Nogara, archeologia e storia di un villaggio medievale”, a cura di F. Saggioro, Roma 2011

 

Ognuno di noi aveva a disposizione la possibilità di macinare il proprio mucchietto di grano e di produrci il pane. Ci vennero distribuiti dei
ciottoli appiattiti e delle pietre levigate su cui schiacciare i nostri chicchi. Ero quasi euforico all’idea di mangiare del pane autoprodotto, avrei potuto decidere anche il sapore probabilmente! Ma l’entusiasmo si scontrò subito con la realtà: i chicchi erano duri e la farina ottenuta sembrava della granaglia informe. L’archeologo invece con la sua macina circolare sembrava non fare fatica e la preziosa polvere bianca cresceva in abbondanza ai lati del macchinario. Ci guardò con compassione dicendoci: “Ne volete un po’? Pagatemi una gabella e macinerò il vostro grano! ah ah ah!”

 

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– Ma non è giusto! – Esclamò la Benessi con un piglio anarchico insurrezionalista.
Ovviamente la macina circolare era una sola e questo ci fece capire quanta importanza assumeva la gestione delle tecnologie nella produzione di un benefit.  Lavorare un blocco di granito del genere non era facile e quando i mulini divennero più grandi ed efficienti, i poteri locali si fecero ben presto in quattro per accaparrarsi l’esclusiva sul loro utilizzo.

“Cercate di ricordare questo ragazzi, ciò che oggi abbiamo sulle nostre tavole è frutto di anni di fatiche dei nostri avi. Spero possiate apprezzare molto di più una fetta di pane domani, sapendo quanta fatica può costare per produrla. L’ingegno dell’uomo nel passato ci permette ora di non dovere ricominciare da capo, ma di partire avvantaggiati. Ad esempio se voi doveste fare un foro nel muro, cosa usereste?”

“Il trapano!” disse Brombin

“Esatto, ma l’avete inventato voi? No, l’hanno inventato molti anni fa, quindi di fatto la nostra conoscenza si fonda sul passato e noi siamo qui per permettere che essa continui anche nel futuro migliorandoci di tanto in tanto… Ma adesso… provate ad indovinare cos’è questo?”

 

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