Guest post

Quella volta che ho visto il Medioevo: il paesaggio scomparso

Da questa settimana – e per le prossime quattro – ospitiamo i guest post di Simone Melato, archeologo padovano con una lunga esperienza di didattica coi bambini. Simone, tuttavia, non ci racconterà dei numerosi laboratori che ha gestito nel corso degli anni, ma ha scelto di tornare indietro nel tempo a quando lui stesso era un bambino di otto anni e si è trovato per la prima volta “dall’altra parte della barricata”, per una giornata intera, insieme alla sua classe, in compagnia di un archeologo alla scoperta del Medioevo…


Ahh la gita! Era una di quelle giornate in cui mi svegliavo euforico perché sapevo che avrei saltato l’odiatissima ora di grammatica con analisi logica che di logico non capivo cosa avesse perché il complemento di causa non era sempre colpevole, ma vittima innocente del predicato. Ci dovevamo portare in un parco naturale a vedere alcune scene di vita quotidiana di alcune genti che, a detta dell’insegnante, erano i nostri bis, tris, ultra mega nonni vissuti nell’altomedioevo.

Immaginavo di incontrare uno di questi miei nonni, molto alto per via dell’alto-medioevo, vestito con una pelliccia di lupo, dei pantaloni marroni in tessuto di canapa tenuti da una cintura di cuoio che regge un fodero di un pugnale con un manico in osso e decorazioni che fanno molto Tex Willer. La pelle raggrinzita dalle intemperie coperta da una ispida barba rossiccia completano il quadro del film western…chissà come mai associavo il western al medioevo, gli occhi azzurri del mio ultranonno mi fissano con uno sguardo di ghiaccio:
“Che hai da guardare ragazzo? Io starei andando a fare i miei bisogni quotidiani!”.
Vidi una fossa, due assi di legno, delle mosche. Mio bisbisbisnonno era in bagno e stavo invadendo la sua privacy! Anche gli uomini duri del medioevo avevano bisogno dei loro spazi!
In quel momento fui richiamato dalla voce stridula dell’insegnante, la Signora Zorzetti. Si diceva che fosse in grado di praticare la magia, quella buona. In effetti con le sue lezioni riusciva a farti entrare in uno stato di trans dal quale ti svegliavi solo alla fine.
Il mio amico Mazu, un tipo che sarebbe andato a lavare i ciottoli dei fiumi piuttosto che studiare, mi stava già illustrando le varie tecniche per riuscire sedersi vicino alle ragazze più carine e poter attaccare bottone.
“Simo – disse, – fai cosi, mentre saliamo tu distrai la Benessi con quel discorso sui Dongiobarni…”.
“Vuoi dire Longobardi?”.
“Sì, che diamine, chemmefrega, io così mi attacco alla Stefanin e sembrerà tutto casuale”.
La tecnica mi sembrava buona nonostante la palese ignoranza di Mazu, ma in fondo era un timidone anche se si atteggiava a bulletto. Forse sarei riuscito a spronarlo ad arrivare alla sufficienza. Almeno in storia.
La tecnica comunque funzionò e mi ritrovai seduto a fianco della Benessi, anche se avrei preferito di gran lunga la Mariolli della terza B, ma era inarrivabile. Chissà se mio ante-nonno sarebbe stato soddisfatto della mia intraprendenza?
Vedevo i capelli di Mazu spuntare dal sedile di fronte e muoversi concitatamente.
Io cercavo di trovare delle argomentazioni per rendermi interessante agli occhi della Benessi e per farlo puntai tutto sulla mia simpatia:
“Sai che cosa dice un pulcino nel forno? Pio Fuoco!”.
“Cretino, non si scherza con gli animali. Noi in famiglia siamo tutti vegetariani”.
Mi guardò spietata trasmettendomi un senso di disagio paragonabile al peggiore incubo: quello di ritrovarsi in mutande in mezzo al salone della scuola durante l’intervallo. Non ho mai capito perché la mia mente potesse creare questo pensiero, ma la sola idea mi pietrificava.
“Avevo finito le battute in serbo, ma adesso ti faccio quelle in Croato!”
“Ah. Sembri mio nonno quando cerca di fare il simpatico”.
In quel momento mi sentii i riflettori della trasmissione “giocata in 5 secondi!” puntati addosso.
“Tu sai chi sono i Longobardi?”, chiesi per cercare di ripiegare sul culturale e farle intendere che ero anche un po’ intellettuale.
“Certo l’abbiamo studiato l’anno scorso non ti ricordi? Sembri uno che vive con la testa tra le nuvole sai?”
Era una Caporetto. Se andava così con lei figuriamoci con la Mariolli. Dovevo trovare qualcosa per uscire da quella situazione che mi faceva sudare le mani dall’imbarazzo.
“E’ nelle nuvole che trovo l’ispirazione alla mia fantasia”.
“Che bello, sei uno strano ma mi sei simpatico”.
L’Avevo letto da qualche parte, ma lei credette che fosse frutto della mia saccoccia. Salvato in corner.

 

Guardavo fuori dal finestrino e immaginavo di essere seduto su una  macchina del tempo, modello maggiolino cabrio, capace di riportarmi indietro nel tempo. Vedevo gli alberi che si moltiplicavano, l’asfalto che si trasformava in breccia, le auto in carri trainati da ronzini magri e buoi secchi. Una lunga fascia di campi coltivati segnava uno stacco con la civiltà moderna, lontana dal frastuono degli autoveicoli. Il pulmino ci lasciò in una radura oltre la quale si vedeva una fitta boscaglia che si specchiava su una grande superficie d’acqua. C’erano due archeologi ad accoglierci. Il mio compagno di classe Mazu aveva già ritrovato la sua energica voglia di disfare tutto e si mise a rincorrere un gruppo di oche che ci erano venute incontro curiose. Risultato: Mazu che scappa inseguito dalle oche. Già immaginavo le possenti bestiole con il piumaggio bianco macchiato di sangue strappare con ferocia ochina brandelli di carne al povero Mazu. Si beccò invece una sonora sgridata dalla signora Zorzetti.
“Ho fame!”, disse Brombin che fino ad allora era rimasto impegnato a togliersi le caccole dal naso.
“Dov’è la capanna medievale?”, chiese la Mariolli.

 

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“Una cosa alla volta ragazzi. Innanzitutto respirate. Sentite il profumo dell’aria, delle foglie, dei fiori, dei prati, dello stagno. Ascoltate i suoni, il fruscio degli alberi, il canto degli uccelli… tendete l’orecchio perché potreste sentire lo scricchiolio di qualche ramo secco rotto dalla zampa di un cinghiale, oppure potremmo sentire il ringhio di un lupo! Stiamo entrando in una dimensione temporale che ci riporterà indietro di oltre mille anni. Guarderemo le cose con gli occhi di uomini, donne e bambini come voi vissuti in quel periodo. Stiamo entrando in contatto con il passato, perché qui è rimasto tutto come era, siamo nell’altomedioevo. E nell’alto medioevo il problema dei lupi era serio! Wof!”, la Benessi si spaventò.
La mia mente immaginava un medioevo fatto di castelli e cavalieri, guerre e damigelle, maghi e monaci. Non pensavo di trovarlo in un bosco! Ci spiegarono poi che gran parte della pianura padana era occupata da foreste, caratterizzate appunto da querce, e nella fattispecie le nostre zone erano invase da paludi e stagni come quello che avevamo visto poco prima. C’erano animali di ogni genere, cinghiali, lupi, cervi e addirittura pellicani e tartarughe (mi sarebbe piaciuta unaa una tartaruga nel mio giardino)! Cose mai pensate. Un ambiente ostile, insomma, ma al tempo stesso vitale, dal quale cogliere tutto il necessario per vivere, lavorare, costruire…

 

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“Quindi ragazzi – concluse l’archeologo – possiamo fare un viaggio nel tempo. Dobbiamo saper ascoltare il paesaggio perché parlerà della sua storia, di quello che ha visto, di quello che ha dato all’uomo e di ciò che l’uomo ha preso. Il paesaggio è il registratore della memoria storica. E’ fatto di boschi, di fiumi, di case, castelli, strade, oggetti e tutti possono raccontare una storia. Proviamo ad interrogarlo e vedere cosa ci dice?”.
L’archeologo ci mostrò una sorta di pallina che teneva in mano.

 

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“Sapete cos’è questa? Si trova spesso sulle querce. Chi mi sa indicare una quercia..?“.

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