Guest post

L’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate

Con molto piacere ospitiamo questa settimana un guest post a 12 mani, quelle di Laura, Gianluca, Caterina, Alessio, Federica e Sabrina, il gruppo che da alcuni anni scava per conto dell’Università di Siena, sotto la direzione di Franco Cambi, la fattoria romana di S. Giovanni, un sito splendido affacciato sulla rada di Portoferraio (Isola d’Elba).

Qui, insieme all’attività di ricerca, si occupano anche di comunicazione e didattica e ci raccontano oggi la loro esperienza umana straordinaria che nasce, ancora una volta, dall’incontro con i molti bambini e ragazzi che ogni giorno vanno a visitare il loro scavo.


Si è conclusa da poche settimane  la quarta campagna di scavo nel sito di San Giovanni, la “fattoria” romana affacciata sul golfo di Portoferraio, nella bellissima isola d’Elba, e nonostante la stanchezza accumulata si faccia ancora sentire, soffriamo già tutti di una malinconia sfrenata: perché, a dire la verità, più che una campagna di scavo, a concludersi è stata una esperienza umana incredibile!

Ormai dal 2012 il nostro lavoro sul campo è seguito con grande interesse e curiosità da una buona parte della comunità isolana, ma ciò che si è creato quest’anno attorno agli archeologi e al sito stesso è qualcosa che ha varcato i limiti della semplice visita su un cantiere, prendendo le forme di un’esperienza condivisa e partecipata.

Non c’è sensazione più bella e più appagante di rendersi conto che ciò che si sta con fatica portando alla luce, scoprendo, interpretando, ha un senso, un’utilità, un ritorno sociale.

E a ripagarci sono state le scuole, numerosissime, che hanno letteralmente fatto a gara per portare i bambini delle elementari, medie e superiori a vistare gli scavi di San Giovanni: abbiamo stimato circa 1500 visite, che ci hanno stremato ma riempito di soddisfazione!

 

Questa“invasione pacifica” ha accompagnato il nostro lavoro per 4 settimane dove il rumore degli attrezzi si confondeva con le piccole voci entusiaste dei bambini. Ad essere sinceri, all’inizio non è stato così facile e mille dubbi e domande ci hanno assalito: come accogliere al meglio questi bambini, nella maggior parte dei casi così piccolini da non sapere ancora chi sono i romani? Quali sono le parole migliori da usare, con quale linguaggio ci dobbiamo esprimere affinché capiscano ciò che facciamo e cosa stanno vedendo?

 

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Ci siamo resi conto fin da subito che i bambini si appassionano tantissimo se stimolati al percorso di ricerca storica dell’archeologo in maniera attiva e coinvolgente: abbiamo pensato quindi di allestire per loro un tavolo con “gli strumenti del mestiere”, in modo che familiarizzassero con gli oggetti che usiamo nel cantiere e ne capissero l’utilità; abbiamo raccontato loro che quella dell’archeologo è una vera e propria professione, che ha il compito di ricostruire la storia dei luoghi in cui viviamo a partire da ciò che resta del passato; ci siamo sbizzarriti con torte farcite, lasagne e abbigliamento a cipolla per far immaginare loro che quello che si trova sotto i loro piedi è un mondo fatto a strati e che gli attrezzi che ci vedono usare ci servono per “sfogliarlo” e poterlo leggere accuratamente.

 

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Abbiamo inoltre fatto toccare loro alcuni reperti e fatto in modo che capissero che non si tratta di semplici frammenti antichi e sporchi,
ma di oggetti “parlanti” in grado di raccontare moltissime storie e che gli archeologi possono insegnarci a comprenderli: e così, le impronte di un gattino dispettoso su di una tegola ancora fresca, messa ed essiccare al sole da un artigiano 2000 anni fa, ha suscitato emozioni e moltissime analogie con il loro presente e con i loro animaletti domestici!

Li abbiamo poi condotti proprio dentro la “fattoria” romana, dove hanno immaginato tante stanze, la cantina con i grandi dolia dove riposava il vino protetto da pesanti coperchi, un cortile circondato da colonne costruite come da pezzi di “formaggio” che incastrandosi formavano una forma circolare perfetta. E infine, dopo aver imparato tutte queste cose.. cosa c’è di meglio che provare ad essere un archeologo?

Grazie ai volenterosi studenti del liceo classico di Portoferraio, che hanno trascorso una settimana di stage sul nostro cantiere, è stata realizzata un’area sperimentale in cui i bambini armati di cazzuole, palette e scopette hanno messo in pratica ciò che avevano appena visto fare agli archeologi. Non è descrivibile la loro gioia e curiosità appena riportavano in luce qualche reperto dal terreno!

Al termine delle loro visite i bambini hanno realizzato disegni e scritto per noi tantissimi pensieri che abbiamo avuto il tempo di leggere solo alla sera e lì, in quelle frasi buffe, nei cuoricini, nei loro tentativi di comunicarci la loro emozione, risiede la soddisfazione più grande e impagabile.

 

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Crediamo che il segreto di questo piccolo successo sia stata in grandissima parte la sinergia, positiva e costante, con i docenti, con le associazioni e le diverse realtà territoriali dell’isola.

Ma forse, ciò che più di ogni altra cosa ha avvicinato tutta la comunità a questo scavo è stata semplicemente la passione nei nostri occhi, il modo in cui ogni giorno svolgiamo un lavoro faticoso e spesso difficile, ma senza mai perderci d’animo e con un grande entusiasmo che traspare da ogni nostra azione, dal modo in cui rispondiamo alle miriade di domande dei visitatori e “raccontiamo” le nostre scoperte, un piccolo tassello della storia romana dell’isola d’Elba.

 

E come non condividere allora il pensiero di Steve Jobs, che nel campo della comunicazione efficace di un’idea non ha ancora rivali? Se vogliamo realmente coinvolgere gli altri dobbiamo fare in modo che si appassionino, che condividano ciò che noi stessi per primi amiamo e
condividiamo.

Perché alla fine..

l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate!

 

Laura, Gianluca, Caterina, Alessio, Federica e Sabrina

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