
Letizia fa luce. Luce su bambini nati, nati eccome, seppure a vite vietate, impedite, negate e, a partire da quel primo momento buio, li prende in braccio, poi per mano, fino al momento di lasciarli andare, capaci. Capaci di dar vita, la loro. E li chiama per nome, bambini e bambine. E fa posto alle loro storie, racconta vite.L’idea della mostra è nata in modo del tutto casuale. Qualche tempo fa Letizia Galli ebbe modo di visitare a Firenze l’Istituto degli Innocenti, una struttura costruita nel Rinascimento – progettata dal più celebre architetto dell’epoca: Filippo Brunelleschi – e concepita per ospitare gli orfanelli, i bambini messi al mondo e subito dopo abbandonati, per necessità o per rifiuto da parte dei loro genitori. Fu in quell’occasione che si fece strada nella mente dell’artista l’idea di raccontare attraverso un libro la storia di Agata Smeralda, la prima bambina abbandonata nella “finestra ferrata” dell’istituto il 5 febbraio 1444, giorno di Sant’Agata. Dalle riflessioni successivamente maturate durante gli incontri tra Letizia Galli e la direttrice dell’Istituto, Alessandra Maggi, è scaturito poi un progetto ben più articolato confluito nella grande mostra “Storie di bambini”, in cui protagonisti sono appunto i bambini, sia quelli raccontati attraverso i disegni, sia i potenziali piccoli visitatori. La vicenda di Agata Smeralda viene narrata, in maniera del tutto immaginaria, da Letizia Galli nell’albo illustrato omonimo, edito da Franco Cosimo Panini.





Agata Smeralda
La storia di Agata Smeralda, la prima bambina lasciata in fasce allo Spedale degli Innocenti il 5 febbraio 1944, è immaginata da Letizia Galli. Attraverso i suoi disegni e le sue parole l'artista esplora il mondo dei bambini a cui la fortuna non ha sorriso, ma che hanno trovato da soli, contro ogni difficoltà, la forza di lottare e di affermarsi. Età di lettura: da 5 anni.

Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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