I post del lunedì

Tra sette minuti andiamo in onda

Ormai siamo a fine maggio, è tempo di feste della scuola. Non so quanti di voi partecipano a quella di fine anno o se la vostra scuola ha programmato un evento simile; la mia scuola elementare, ed esempio, ne organizzava di strepitose, manco fosse la notte degli Oscar. Giochi, mercatini, merende, saggi e, puntuale come un mal di pancia dopo un’indigestione di dolci, la recita di fine anno. Ora, non so come funzioni nelle vostre aule, ma da me si ripeteva sempre la stessa scena: la maestra verso febbraio entrava in classe con dei fogli e ci annunciava il tema della recita di quell’anno, seguito dalla canonica richiesta del chi vuole partecipare. A questo punto, dalla platea dei banchi, si alzava sempre una mano eccitata, che come un meccanismo a molla si agitava sopra le teste dei compagni. Ecco, quella mano esagitata era normalmente la mia, e la cosa era piuttosto strana, visto che sono tra le persone più timide che conosca. Il problema era che all’annuncio del “ragazzi faremo questo” il primo pensiero che riuscivo a formulare era: ”Ah ah, ganzo sarà divertentissimo!”, quindi, come se avesse vita propria, la mia mano si staccava dal resto del corpo e iniziava a sventolare sopra la mia testa come una bandiera, finché la maestra, forse mossa a compassione per quell’esserino con i ricci, segnava il mio nome sul foglio. Solo allora un violento brivido di puro terrore percorreva la mia schiena, ZAC, seguito da parole perentorie, che si ripetevano in loop nella mezz’ora successiva:
“Ma chi te lo fa fare?!”
I tre mesi successivi erano poi caratterizzati da ogni forma d’ansia, mascherata da traballante spavalderia, fino al fatidico giorno della prima teatrale.

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Sempre. Tutti gli anni andava così, e non è vero che la vita ti insegna, perché se così fosse non avrei ripetuto lo stesso “errore” febbraio dopo febbraio. Purtroppo neanche la crescita ha migliorato molto la situazione, né mi ha fatto sviluppare quella freddezza calcolatrice tipica dell’adulto.
Qualche mese fa (forse proprio a febbraio…), parlando con degli amici, è venuto fuori che sarebbe stato interessante fare insieme una puntata radiofonica (tra l’altro in diretta) durante la quale si sarebbe parlato del blog e del progetto ArcheoKids.

 

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Locandina della puntata radio realizzata da Antonio Zelaschi.

“Ah ah, ganzo, sarà divertentissimo!” – ZAC – “Ma chi te lo fa fare?!”
Una sequenza perfetta, neanche il più potente computer ha una procedura di avviamento così lineare.
Ma chi te lo fa fare di parlare in diretta, quando non hai il tempo materiale di ordinare i pensieri e calibrare bene le parole?!; ma chi te lo fa fare di rispondere a delle domande alle quali non avevi neanche pensato?!; ma chi te lo fa fare di parlare quando hai scelto la più cauta e confortevole scrittura come strumento di comunicazione?!
Dai, chiunque con un po’ di sale in zucca avrebbe rinunciato in partenza…

E invece, dopo due giorni dalla diretta, posso dire di averla trovata una grandiosa esperienza; sì, perché proprio quel parlare senza aver il tempo di preparati prima e di riflettere troppo, ti permette di dire cose genuine, vere e che probabilmente non avresti mai detto in altre circostanze, in più, hai proprio la sensazione di chiacchierare con le persone che ti stanno ascoltando, forse una grande responsabilità ma molto umana e diretta (tra l’altro, visto
che la puntata è diventata un podcast, la materna sicurezza del verba volant lascia un po’ il tempo che trova…).
Nei quarantacinque minuti di trasmissione io, Elisabetta e Samanta (Francesco e Giovanna non erano fisicamente presenti a causa della solita e antipatica distanza geografica, ma partecipi sui social) abbiamo risposto a diverse domande, attraverso le quali abbiamo ripercorso la giovane vita di ArcheoKids, condiviso le nostre esperienze e i nostri punti di vista e focalizzato i nostri
obiettivi. Capisco che detta così sembra esser stata più una seduta psicoanalitica che una puntata radiofonica, in realtà è stata un’ottima occasione per parlare del nostro progetto e, cosa di non minor importanza, ci siamo divertite molto.

Tutto questo è stato possibile grazie a Let’s Dig Again.
Penso che ormai una bella fetta degli archeologi italiani conosca piuttosto bene il significato di queste parole, ma io vorrei parlarvene lo stesso, soprattutto rivolgendomi a chi archeologo non è. Let’s Dig Again è un esperimento audace e intelligente di comunicazione archeologica.
L’idea di fondo del progetto è piuttosto semplice: creare e utilizzare una radio, anzi una web radio, per avvicinare il pubblico al mondo dell’archeologia.
Attraverso i quarantacinque minuti di puntata i ragazzi Let’s Dig Again presentano e parlano, di volta in volta, di un aspetto, di un evento o di una delle mille facce dell’archeologia con ospiti sempre diversi. Il tutto alleggerito, no anzi arricchito, con intermezzi musicali; d’altra parte è comunque una radio, no?!

 

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Logo della web radio realizzato da Antonio Zelaschi.

Da quando è nata, circa due anni fa, Let’s Dig Again è cresciuta molto, da puntate monotematiche degli inizi a un percorso strutturato e continuo quale è il Neverending Tour, una serie in divenire di puntate itineranti in giro per l’Italia, pensate e programmate per far emergere le tante manifestazioni e realtà di impegno archeologico che sono presenti nel nostro paese. Anche il team, che tengo a precisare essere composto da soli studenti universitari, si è allargato nel tempo, insieme al fondatore, Andrea Bellotti, e il co-fondatore, Alessandro Mauro, si sono uniti alla squadra Roberto Chiariello, Alessandro Carabia e Roberto Trivelli.

Oggi Let’s Dig Again ha all’attivo 50 puntate con un totale di circa 8000 ascolti su Spreaker (la piattaforma web con la quale trasmettono) e non sembra affatto che si vogliano fermare a queste cifre.
Noi di ArcheoKids non possiamo che strizzare un occhio compiaciuto e amico verso chi, come noi, condivide il desiderio di comunicare e raccontare a un pubblico quello che è il nostro patrimonio culturale, cercando di stimolare curiosità e attenzione.

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Foto di fine puntata con i proprietari della caffetteria libreria CartaZucchero di Siena, da dove siamo andati in onda, e Paolo Ronconi, che ha suonato dal vivo durante la trasmissione.

Avete notato come abilmente ho parlato pochissimo della puntata che ci ha riguardato? Niente, sono una furbacchiona…e mi piacerebbe, se ne avete voglia, che ascoltaste tutte le parole che ci siamo detti lo scorso giovedì, comprese tutte le “t” e le “c” che, da brave toscane, ci piace tanto strascicare, cliccando su questo link dove troverete il podcast della puntata.

Buon ascolto!

 

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