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L’archeologia è una storia a bivi

Mi ricordo quando da piccolo leggevo. Ricordo che mi piaceva leggere qualsiasi storia, purché avesse una trama coinvolgente e fosse ben raccontata.

Possibilmente che avesse un bel finale. Quando si è piccoli i finali tristi non piacciono molto: non so se avete mai letto “I ragazzi della via Paal” di Molnar, la morte di uno dei personaggi Nemecek aveva rovinato il pomeriggio a me, mio fratello e credo molti altri bambini. Leggevo in continuazione: i romanzi d’avventura di Verne, i romanzi fantastici di Roald Dahl, i gialli di Poe, anche il fantasy per i più piccoli, come la “Trilogia del piccolo popolo” di Terry Pratchett. Il genere passava in secondo piano se la storia era bella. Dopo pranzo, una volta conclusi cartoni come Lupin e Batman mi immergevo nelle mie letture e non volevo essere disturbato.  Anche per i fumetti non facevo eccezione, con la differenza che non avevo un momento fisso ma ogni momento libero era buono per prendere un Topolino e sparire in qualsiasi angolo di casa utile alla causa.

Proprio su Topolino mi voglio soffermare. Mi ricordo che di tanto in tanto aprivo il mio fumetto preferito e, quando meno te l’aspettavi, saltavano fuori delle storie che mi piacevano molto, perché ne diventavo parte attiva: le storie a bivi.

La copertina del primo numero di Topolino con una storia a bivi (fonte: librogame.net)

Che cosa sono le storie a bivi? Già, perché ultimamente non se ne trovano più molte su Topolino, quindi vi spiego bene di cosa si tratta. In breve sono avventure in cui non c’è una sola storia ma una serie di finali multipli cui il lettore giunge facendo una serie di scelte intermedie. Quando ci sono punti di svolta nella trama e i personaggi sono di fronte a delle scelte, i bivi appunto, si è costretti a scegliere con loro: se vuoi che Zio Paperone concluda il suo affare continua a leggere a pagina 14; se pensi sia meglio rifiuti continua a leggere a pagina 16. Solitamente nelle favole Disney i bivi portano a uscite anticipate dalla storia o a una linea narrativa che continua e su cui si incontrano nuovi bivi. Di solito seguivo il percorso determinato dalle mie scelte ma poi, giunto alla fine dellamia storia, volevo subito leggere tutte le altre possibilità.

Di storie a bivi se ne trovano moltissime dalla metà degli anni ’80 a metà dei ’90, nell’epoca di massima attività del fumettista Bruno Concina, l’inventore di questo tipo di storie per i fumetti. Alcuni lettori hanno paragonato le storie a bivi ai librogame, che presentano la stessa struttura, ma Concina affermò di essersi ispirato a una serie di racconti con finali multipli scritti negli anni ’30 da scrittori d’avanguardia in Francia. Concina sostenne anche il valore pedagogico di questo tipo di storie e, oltre a essere l’ideatore del prof. Marlin, l’inventore con Zapotec della macchina del tempo, diede a due delle storie un’ambientazione archeologica.

La prima è del 1986, “Zio Paperone e l’anfora enigmatica”, la seconda del 1990, “Paperinik e il mistero del tempio azteco”. Nella prima “Zio Paperone, accompagnato da Paperino, Paperoga e Pico De Paperis si mette alla ricerca di una misteriosa anfora romana che Cesare aveva inviato urgentemente dalla Gallia a Roma, ma che affondò insieme alla nave che la trasportava. Come spesso accade, anche Rockerduck è sulle tracce del misterioso tesoro…” e si ha la possibilità di seguire la storia anche dal punto di vista di quest’ultimo (da librogame.net).
Nella seconda avventura “Pico De Paperis trova nella biblioteca di Paperopoli una mappa che svela un misterioso passaggio segreto che porta all’interno di un inesplorato tempio azteco. Con l’aiuto di Paperinik decide di avventurarsi attraverso il passaggio per svelare tutti i segreti di quell’antico monumento” (da librogame.net).

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La copertina di Topolino con la storia a bivi “Paperinik e il mistero del tempio azteco” (fonte: librogame.net)

Al di là dell’ambientazione archeologica di queste due storie citate, che riprendono i due classici cliché Disney della ricerca del tesoro e dello svelamento di un mistero (su cui magari prossimamente ci potremmo soffermare), che cosa lega le storie a bivi all’archeologia e ai bambini?

Credo che l’archeologia e il lavoro dell’archeologo siano una continua storia a bivi. Quando si scava si procede a togliere uno strato dopo l’altro, seguendo un ordine inverso rispetto a quello in cui si sono depositati sul terreno nei secoli. Questa procedura è abbastanza meccanica e, di solito, non crea troppi problemi: è il metodo giusto per scavare. Potete invece immaginare che per capire quello che stiamo scavando bisogna mettere insieme tutte le varie informazioni contenute nei vari strati e questa operazione invece è molto più complicata. Le informazioni possono essere incastrate in vario modo e di solito ce ne mancano molte. Proprio come se aveste un puzzle incompleto e doveste cercare di capire che cosa c’era nei buchi per i quali non avete più i pezzi.

Che cosa può fare l’archeologo? Quando le informazioni che ha dallo scavo non sono sufficienti deve ingegnarsi a modo suo, confrontando reperti con reperti di altri scavi, studiando che cosa hanno scritto gli uomini nel passato, compiendo analisi di laboratorio su alcuni materiali e così via. Cerca di formulare delle ipotesi che possano essere vere, secondo le informazioni che è riuscito a ottenere e ai collegamenti che la sua testa e la sua esperienza gli permette di fare.

Ogni volta che l’archeologo cerca di dare un senso a quello che ha scavato è di fronte a tanti bivi, e come me da piccolo che volevo leggere tutte le storie e non solo quella che ritenevo la via giusta, deve tenere in considerazione tutte le possibilità, pronto a cambiare idea ogni volta che un elemento nuovo arricchisce le informazioni a disposizione. Questo lo diceva molto meglio di me un grande maestro dell’archeologia italiana, Tiziano Mannoni: “cambiare metodo al bivio della conoscenza”, soprattutto quando le strade esplorate fino a quel momento sembrano aver già dato tutte le informazioni possibili.

Per i bambini le storie a bivi mi sembrano un’ottima modalità di coinvolgimento: da un punto di vista pratico si potrebbe pensare a dei laboratori a tema per arrivare a un obiettivo specifico. Credo infatti che le storie a bivi siano particolarmente indicate per far capire come si svolge il lavoro dell’archeologo e che inoltre, potendo adottare punti di vista diversi seguendo strade diverse, siano uno strumento molto potente per far capire che dietro gli oggetti che scaviamo ci sono gli uomini, con le loro storie personali, le loro scelte e i loro pensieri, e non un passato astratto e (sempre) indecifrabile.

Per approfondire e articolare questo punto di vista il mio prossimo post… sarà ovviamente una storia (archeologica) a bivi!

 

 

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