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Mi chiamo Dolly Dig e sono una trowel

Buongiorno ragazzi, finalmente i cinque di Archeokids si sono decisi a presentarmi: da un sacco di tempo me ne stavo pronta dietro le quinte, ma non arrivava mai il momento giusto.

Mi chiamo Dolly Dig e sono una trowel.

Dolly Dig disegnata da Silvia Celeghin: sguardo curioso, grandi occhiali per vedere bene, una borsetta al collo, una tenuta da lavoro comoda ma allo stesso tempo elegante, i capelli raccolti e le scarpe rigorosamente anti-infortunistiche!

Ah, intendiamoci subito, una trowel molto speciale!

Prima di tutto perché mi ha disegnata una amica degli Archeokids che si chiama Silvia Celeghin. Silvia è una bravissima illustratrice che vive a Siena, ha tre adorabili bambini e la sua casa è piena di cartoncini disegnati da lei appesi qua e là che raccontano tanti momenti speciali della sua famiglia. Insomma, quando sono uscita dalla sua matita, ho capito subito di avere una mamma molto in gamba!

Poi sono speciale perché parlo e di cose da raccontare ne ho davvero moltissime.

Intanto mi presento: chi sono e che cosa ci faccio qui su questo blog?

Tecnicamente, sulla mia carta di identità, c’è scritto trowel: sì, sono una cazzuola inglese, il mio nome completo è pointing trowel e sono uno strumento prestato all’archeologia dall’arte dei mastri muratori.

Dolly Dig disegnata da Silvia Celeghin: sguardo curioso, grandi occhiali per vedere bene, una borsetta al collo, una tenuta da lavoro comoda ma allo stesso tempo elegante, i capelli raccolti e le scarpe rigorosamente anti-infortunistiche!

 

La trowel infatti è una cazzuola per stilatura, cioè per quella operazione di rifinitura delle murature che consiste nel ripulire tutte le connessioni tra le pietre o i mattoni, mettendo in evidenza ogni singolo pezzo. Gli archeologi però mi hanno adottato oramai da moltissimo tempo, anzi… una delle prossime volte vi racconterò meglio la mia storia.

Sapete come mi ha definito un importante archeologo italiano?

“Strumento principe dello scavo è la cazzuola inglese per stilatura”.

[A. Carandini, Storia dalla Terra, Torino 1991, p. 182]

Ecco, non l’ho detto io, ma pare proprio che senza di me gli archeologi si sentano perduti, perché sono utile per molte operazioni e proprio per questo sono finita anche sui manuali di scavo.

Vediamo prima di tutto come sono fatta.

Eccomi qua nelle mani di una bambina che mi ha incontrata sul sito di Vignale (LI), uno dei posti più magici in cui mi sia capitato di lavorare (… poi una volta di queste vi racconto meglio!)

Prima di tutto dovete sapere che sono forgiata tutta in un solo pezzo di acciaio! Questo mi permette di essere molto resistente nella punta, dove vado a toccare molte “cose” diverse; la mia lama con la punta triangolare è collegata all’impugnatura attraverso un perno robusto che permette alla mano che mi tiene di esercitare una certa forza. Il manico invece è spesso di legno, con una forma affusolata che si impugna bene e di recente alcune mie sorelle hanno dei manici in materiale plastico, che e molto comodo da utilizzare e non le fa scivolare dalle mani.

La mia caratteristica principale è la lama che è allo stesso tempo affilata e robusta.

Sembra incredibile, ma questa lama così spessa si può consumare! Sì, avete capito bene, gli archeologi mi utilizzano così tanto e con così tanta energia che dopo un po’ di tempo il mio profilo si arrotonda e piano piano mi consumo.

Si potrebbe quasi dire che anche se il mio aspetto è duro, nascondo un cuore tenero.

Se sbirciate in una valigetta degli attrezzi di qualche archeologo non più giovanissimo, troverete di certo diverse trowels, tutte consumate: amando le storie che gli oggetti raccontano, è molto difficile che un archeologo butti via le sue trowels usate e diventate quasi dei cucchiai! Ognuna di esse gli ricorda qualcosa del suo lavoro, magari uno scavo bello che ha fatto, e ci è quindi affezionato.

Le cinque trowels della valigetta di Elisabetta. Osservate bene le lame, sempre più piccole e consumate e le punte, sempre più arrotondate. Si vede bene che la prima da sinistra è nuovissima, mentre l’ultima a destra deve avere grattugiato molta terra per essere così piccola!

Questo rapporto così stretto tra un archeologo e la sua trowel nasce dal fatto che durante uno scavo servo praticamente in ogni momento. Con ognuno di loro ho un rapporto speciale, ma posso dire che gli archeologi si dividono in due grandi categorie: quelli che non mi mollano un secondo e quelli che mi cercano tutto il giorno.

I primi sono quelli che mi tengono sempre in mano o che hanno sempre una tasca dove mi mettono nei momenti in cui mi riposo; prendono il caffè, mangiano, fanno persino la pipì, sempre con me addosso. A volte hanno anche provato a usarmi per tagliare una torta, per dire!

Gli altri sono quelli che mi appoggiano continuamente da una parte e dall’altra e che vanno nel panico quando non mi trovano: sono disposti a setacciare mucchi di terra se solo sospettano che sia rimasta sepolta dentro una carriola!

Tutti di solito fanno su di me dei segni di riconoscimento perché la trowel è qualcosa di molto personale, ognuno ha la sua e non esiste che “tu mi presti la tua” e “io ti presto la mia”, perché “la mia è la migliore”.

Un rapporto molto personale dunque è quello che nasce tra un archeologo e la sua trowel: nel tempo abbiamo scoperto insieme, sperimentando, che a seconda di come vengo impugnata, posso fare lavori diversi e utilissimi. Pensate che sono talmente utile che è nato anche un verbo italo-inglese che indica il mio utilizzo: traulare!

Prima di tutto, servo a mettere in evidenza le caratteristiche di uno strato di terreno. Per esempio, prima del mio passaggio, su una superficie non si distinguono tutte le sue componenti, ma dopo invece sì: ecco che spiccano piccole pietre, frammenti di ceramica, grumi di calce bianca, carboncini, qualche frammento di osso… e quello strato che sembrava solo fatto di terra marrone, assume un aspetto e un significato diverso. Solo dopo il mio lavoro, esso può essere descritto dettagliatamente in una scheda e tutte le sue caratteristiche possono essere documentate in una fotografia e in un disegno.

Questo vale soprattutto in alcuni casi, come per esempio quando mi trovo a lavorare su uno strato di crollo. Prima del mio passaggio è difficile individuare tutte le componenti di un crollo, mentre dopo, ecco che per esempio vengono fuori dalla terra tutte le tegole con i loro bei bordi nitidi e la foto che gli archeologi riescono a fare può essere spettacolare: dalla posizione delle tegole inoltre si può ricostruire addirittura il modo in cui un tetto è crollato.

Qui sono insieme ad Elisabetta sul sito di Gortina (Creta), tanti anni fa: il crollo di quel tetto era difficilissimo da pulire, perché la terra era molto dura per via del clima molto arido ed è stata dura tirarlo fuori in tutti i suoi dettagli, ma alla fine ce l’abbiamo fatta!!! Vedete la differenza? In basso dove siamo già passate si possono contare tutte le tegole, dove stiamo lavorando la situazione è invece ancora molto confusa…

 

Insomma, nei lavori di precisione non mi batte nessuno. Certo, molto dipende dalla mano che mi usa: all’inizio i giovani archeologi quasi non mi sanno nemmeno tenere in mano e invece dopo un po’ di tempo divengo per loro un prolungamento naturale delle loro dita.

Posso essere impugnata in modi diversi a seconda del lavoro che mi viene richiesto. Per esempio posso essere anche utilizzata come un pugnale per demolire piccoli strati di terreno dove non sia possibile utilizzare il piccone o perché lo spazio è stretto o perché si tratta di qualcosa di delicato.

Quattro diversi modi in cui posso essere impugnata: “di lama”, per raschiare e raccogliere la terra; “di punta”, per mettere in evidenza tutti i particolari; “di lama rovescia” per essere più efficace in una pulizia veloce e “a pugnale”, per frantumare la terra.

Anche quando uno strato viene scavato con il piccone, sia chiaro, dopo passo io e faccio il lavoro di rifinitura! Altrimenti come si fa a capire se lo strato sottostante è diverso? Semplice, io raschio tutta la polverina dello strato soprastante e poi, in una seconda passata, con la punta, faccio emergere il colore e le componenti dello strato nuovo.

E non vi sto a dire che cosa posso fare sui muri!

Appena escono dalla terra, sono tutti sporchi e non si capisce come sono fatti: la terra si infila tra le pietre o i mattoni e si compatta fino quasi a sembrare un cemento. Se presa per la lama, la mia punta è abilissima a mettere in evidenza tutti i contorni delle pietre o dei mattoni e a far capire agli archeologi come è fatto il muro: per esempio posso rivelare che non tutto il muro è stato fatto nello stesso momento, ma che si compone di pezzi aggiunti in momenti diversi o posso far capire che una apertura è stata poi chiusa con una muratura più recente.

Insomma, non per vantarmi, ma senza di me il lavoro degli archeologi sarebbe molto più complicato e io, diciamo la verità, senza di loro mi annoierei a morte.

Quando ero soltanto una cazzuola per stilatura, ogni giorno mi trovavo a delimitare le pietre e i mattoni di muri nuovi: me lo ricordo l’odore del cemento fresco e dello stucco… però vuoi mettere l’emozione della scoperta che mi ha regalato l’essere stata prestata al mondo dell’archeologia? Il mio lavoro ha smesso di essere abitudinario: ogni volta la mia punta entra in un terreno diverso, nuovo, tutto da esplorare: chissà che cosa incontrerò, che cosa riuscirò a far vedere agli archeologi e che cosa loro riusciranno a capire: mooooolto più divertente!

Ecco dunque che cosa ci faccio in questo blog (che ha per logo proprio una mano di bambino che impugna una trowel!).

Dopo questo primo post di presentazioni, tornerò per raccontarvi un po’ delle mie storie che sono legate ai miei viaggi in giro per i siti del mondo, agli archeologi che mi è capitato di incontrare, ai siti in cui mi sono trovata a lavorare e agli oggetti che ho toccato con la mia punta, per prima dopo qualche migliaio di anni… vi avevo detto o no che ho molte cose da dirvi??

Alla prossima allora!

Comments (2)

  1. Cara Elisabetta, il tuo articolo è molto interessante! Sto cercando informazioni per acquistare la mia prima trowel, per favore potresti consigliarmi un modello preciso da cui poter partire (marca e misure esatte)? La prima trowel è importante, vorrei qualcosa di valido e comodo da usare.
    Ti ringrazio fin da ora per l’aiuto che potrai darmi.
    Un caro saluto
    Francesca

    • Elisabetta Giorgi

      Cara Francesca, sono contenta che l’articolo su Dolly Dig ti sia piaciuto! Sono d’accordo con te, la prima trowel è importante: io negli anni (oramai molti) sono rimasta fedele al modello WHS, con manico in legno e lama spessa (lunghezza 10 cm), ma ho provato anche una Marshalltown, stessa misura, con manico in durasoft che non è male. Trovi facilmente tutto in rete!
      Ciao!

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