Guest post

Quella volta che ho visto il Medioevo: un foro…archeologico!

Lo scorso giovedì eravamo arrivati a questo punto; con il guest post di oggi si conclude il racconto di Simone, che ringraziamo per le sue tante e belle parole.
Leggiamo insieme l’epilogo di questa giovane avventura!


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Eravamo tutti nuovamente attratti dalla nuova sfida mossa dall’archeologo. Una cosa piatta, scoprimmo poi era in osso, traforata da buchi
circolari regolari ci stava facendo brancolare nel buio. Perfino Mazu sospese le attività di conquista della Stefanin, per cercare una soluzione, ma niente.

Forza ragazzi, pensate a qualcosa di molto “quotidiano”.
Alle volte non ci rendiamo conto che ciò che usiamo tutti i giorni ha una sua complessità.

Cercammo di dare fondo a tutta la nostra creatività esperenziale, ma le nostre idee non si avvicinarono minimamente alla soluzione. Ci fu persino chi sostenne che si trattava di un congegno per decriptare messaggi segreti da consegnare a qualche destinatario misterioso.

“Allora, innanzi tutto ricordiamo che per analizzare un oggetto dobbiamo capire come è stato realizzato, quali risorse sono state impiegate e quali tecnologie hanno concorso al raggiungimento di questo risultato. Secondo voi come sono stati realizzati questi cerchietti?”

“Con un punzone!” – Disse Fiorin che pareva appena arrivato nel mondo reale.
“Con un trapano!” Esclamai dopo essermi fatto coraggio.

Bravo! Perché per ogni esigenza c’era una tecnologia e ogni tecnologia corrispondeva ad uno strumento.

L’archeologo estrasse una serie di oggetti d’uso comune tutti caratterizzati dalla presenza di un foro. La situazione si stava complicando. C’era un rettangolo di legno con un foro centrale, un paio di dischetti in laterizio con vari fori, un’assicella di legno bucherellata e un paio di bottoni che sembravano provenire dalla camicia di mio nonno.

 

Immagini tratte da Nogara, storia di un villaggio medievale a cura di F.Saggioro, Roma, 2012

 

“Bene in mezzo a questi oggetti c’è anche quello che risponde alle nostre domande.”
“Ma quelli non sono dei bottoni moderni?”. Chiesi stupito, pensando che quel burlone dell’archeologo ci stesse appositamente prendendo in giro.
“Ne sei sicuro? Secondo me hai appena risolto l’enigma dell’osso traforato!”. Prese uno di quei bottoni, lo accostò al foro della tavoletta d’osso
e…combaciavano perfettamente! In quel momento ebbi un moto d’orgoglio che mi fece sentire invincibile.

“Spesso noi archeologi non troviamo il manufatto originale, ma quello che è stato utilizzato per farlo, gli scarti, gli attrezzi, le tracce di lavorazione. Sono i famosi indizi che permettono all’indagine archeologica di arrivare alla verità. In archeologia ciò che non c’è non vuol dire che non esista. Tutte le attività che facciamo lasciano una traccia, un indizio. Non esiste il delitto perfetto! Ad esempio noi possiamo sapere dell’esistenza di un muro dalle tracce lasciate per rimuoverlo, o la presenza di un palo da una macchia circolare nel terreno. Questi sono solo pochi esempi che vi faccio per spiegarvi la complessità del nostro lavoro. In questo caso abbiamo lo scarto di lavorazione legato ad una produzione di bottoni. Mentre sapete cosa serviva questo pezzetto di legno rettangolare con il foro in mezzo?”
Questa era troppo difficile. L’archeologo sorrise e ci venne incontro compassionevole.
“Ve lo dico io altrimenti ci tocca stare qui fino a domani, il che vorrebbe dire che dovremmo andare a caccia e nell’orto per farci una zuppetta.”
Io ci sarei rimasto. Avrei rinunciato a tutte le mie comodità per vivere in quel tempo, affrontando la quotidianità con creatività. Mi sembrava che quel mondo scomparso fosse in realtà ben più reale di quello in cui vivevo, fondato su regole imposte dal mercato, dal marketing, dalle mode. Mi sembrava che ci fosse più libertà, anche se in fondo le regole le dettava la natura mentre adesso le detta l’orologio. Certo non c’erano medicine, né computer. Eppure ero convinto che la connessione con il mondo fosse più vera, più sincera, più vicina e la vera risorsa era il gruppo, la coesione sociale i legami. Mi sentivo più vicino al mio nonno medievale che al mio amico Mazu.

“E’ un galleggiante per rete da pesca con un buco centrale per il passaggio della corda. Dunque, ora proviamo a vedere insieme una tecnologia legata alla lavorazione dei fori. Vediamo di farne alcuni, vi va?”
Estrasse da una sacca alcuni strumenti, alcuni  dei quali non mi erano nuovi. C’era ad esempio un succhiello, una specie di cavaturaccioli che
avevo visto in un museo di civiltà contadina. Serviva per praticare fori nel legno e la grandezza della punta determinava il diametro del foro. Scoprimmo che ritrovamenti archeologici di questo tipo sono molto frequenti in tutte le civiltà del nord Europa, tra cui ad esempio i Vichinghi, abili mastri d’ascia. Quello più curioso però era il trapano a volano. Un aggeggio strano che fu usato fino a poco meno di un centinaio di anni fa.

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“Questo marchingegno sfruttava l’azione del volano, ovvero un peso che agiva come una trottola imprimendo una certa forza di rotazione alla
punta che ruota alternata nei due sensi, permettendo la foratura di qualsiasi oggetto, come questi bottoni in ceramica. La continuità del movimento era garantita dall’energia impressa da un assicella imperniata lungo il perno centrale coeso da due cordelle che permettevano di sfruttare l’effetto “yoyò” . Scommetto che nessuno ormai lo usa più per cui mi tocca spiegarvi pure cos’è!
Beh, facciamo prima a provare che a parlare, giusto? Meno male che esiste l’archeologia sperimentale!”

 

Ognuno poté quindi scoprire il proprio rapporto con lo spirito di adattamento e la sua propensione alla manualità pratica: ci furono scene di ogni, nelle quali io mi ero creato già la lista di chi sarebbe sopravvissuto nel medioevo e chi no. Mazu avrebbe sicuramente avuto la sua rivincita diventando un divoratore di oche arrosto con la Benessi come ottima donna di…capanna. La Mariolli sarebbe stata una perfetta damigella di corte mentre la Stefanin non avrebbe potuto superare la notte senza il suo cellulare. Brombin avrebbe ritrovato un peso forma più adatto agli standard, Fiorin sarebbe stato sicuramente sbranato perfino dalle galline mentre la Ganazzin…forse prima io avrei dovuto diventare un bravo maestro d’ascia per potermi costruire una capanna e chiederle…ma i miei arditi pensieri furono interrotti dalla signora Zorzetti che richiamava all’ordine prima del mesto ritorno alla vita scolastica.

“Ragazzi, ringraziate i nostri archeologi, che grazie al loro lavoro di ricerca ci permettono di conoscere il nostro passato, attraverso il quale prendere coscienza di noi stessi.”

Una frase forse troppo complessa per un gruppo di bambini come noi, ma che come un semino, germogliò in molti di noi e sarebbe stato capace di creare delle menti pensanti e libere, creative e curiose. Nessuno l’aveva capito, ma in realtà l’archeologia aveva inconsciamente svolto un ruolo fondante nella formazione di una società migliore.

 

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