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Nei sotterranei di Istanbul alla scoperta della Basilica-Cisterna

Nel cuore di Istanbul c’è una piccola costruzione che nasconde un vero e proprio tesoro, uno dei luoghi più magici al mondo.

I turchi lo chiamano Yerebatan Sarayi, cioè palazzo sommerso, ma in realtà è una enorme cisterna.

E in effetti, più che una cisterna per contenere acqua, sembra un bellissimo palazzo con tante e tante colonne altissime, sprofondato per qualche motivo nel sottosuolo di Istanbul.

Nelle guide si trova anche indicata come Basilica-Cisterna perché essa sorge dove un tempo c’era una basilica.

Fu l’imperatore bizantino Giustiniano a farla costruire nel VI secolo d.C. insieme ad altre grandi cisterne che dovevano assicurare l’acqua necessaria alla città di Istanbul che a quel tempo si chiamava Costantinopoli.
Per gli abitanti di Costantinopoli Giustiniano e gli imperatori venuti subito prima di lui avevano fatto costruire non una, bensì quattro grandi cisterne, in modo che l’acqua non mancasse mai.

Quando dico grandi, intendo proprio GRANDI!

Pensate che all’interno di una di queste cisterne oggi si trova niente meno che un campo da calcio regolamentare!

Anche la basilica cisterna è gigantesca: misura m 140 x 70 e sviluppa quindi una superficie di 9.800 metri quadrati; tutto lo spazio è scandito da 12 file di 28 colonne per un totale di …
336 colonne! Sulle colonne sono montati dei capitelli e al di sopra sono appoggiate le volte di mattoni, che si trovano oggi poco al di sotto delle strade di Istanbul: le persone camminano e passano sopra con l’auto senza immaginare che sotto di loro si apre uno spazio tanto
grande e … tutto vuoto!

Plastico della Basilica-Cisterna (fonte: yemekresimli.com).

Un vuoto che un tempo era riempito di acqua: pensate che la cisterna poteva contenere fino a 100.000 tonnellate di acqua, una quantità che quasi non riusciamo a immaginare e che corrispondeva solo a un decimo dell’acqua complessivamente immagazzinata nel
sistema idrico di Costantinopoli.

Come faceva a riempirsi? Attraverso un acquedotto che come un vero e proprio serpente di pietra, si snodava per molti chilometri e andava a prendere l’acqua fino alla Foresta di Belgrado, una zona a Nord di Istanbul.

Costantinopoli al tempo di Giustiniano era la città più importante del mondo conosciuto e vi abitavano moltissime persone: pensate che considerando quanta acqua si consumava allora (senza lavatrici, lavastoviglie e altre diavolerie moderne!), con l’acqua della sola Basilica-Cisterna (senza contare le altre!) ci si sarebbero potuti dissetare e lavare tutti gli abitanti della città per quasi una settimana!!!

La grande cisterna funzionò per un lungo periodo e poi venne un po’ dimenticata.

Solo alla metà del 1500, uno studioso francese di nome Pierre Gilles la riscoprì perché si accorse che gli abitanti di questa parte della città prendevano l’acqua da alcuni pozzi che pescavano
in uno spazio vuoto sotto le case e a volte, insieme all’acqua, tiravano su anche qualche pesce.

Gilles si incuriosì e cominciò le sue esplorazioni: gli indicarono una porticina nel cortile di una casa che si apriva su delle scale molto buie e, armato solo di una fiaccola, scese un
gradino dopo l’altro e si rese conto di trovarsi in un enorme spazio sotterraneo in cui c’era acqua. Con una barca, alla luce delle fiaccole, riuscì a misurarla e ad ammirare le centinaia di colonne che reggevano il soffitto della cisterna.

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Vista di una esplorazione a Yerebatan Sarayi nel 1838 (fonte: antiqueprints.com).

Da allora molti sono stati i viaggiatori, i turisti e gli studiosi che l’hanno visitata più o meno come lui, perché fino alla fine degli anni Ottanta non era la meta turistica che è oggi.

“Mi ricordo che siamo entrati da una porta in una struttura abbastanza malridotta e da lì abbiamo cominciato a scendere dei gradini in pietra: si poteva percepire di trovarsi in uno spazio vuoto, ma la luce era poca e non si vedeva bene. Avevamo delle pesantissime torce, ma non riuscivano a illuminare molto. Una volta arrivati in fondo alla scala, la nostra guida ci fece salire su una piccola imbarcazione con il fondo piatto che aveva una lampada montata a prua. Siamo saliti, io, Italo Furlan, Antonio Iacobini e la professoressa De Maffei.”

Chi parla è Enrico Zanini, docente di archeologia all’Università di Siena, che all’epoca del racconto (1982) era un giovanissimo laureato in storia dell’arte bizantina e si trovava in giro per la Turchia con un gruppo di studiosi.

Non ci sono fotografie della visita in barca a Yerebatan Saray, ma io me li sono immaginati più o meno cosi:

Visita alla Basilica-Cisterna negli anni Quaranta del Novecento (fonte: erhanuludag.com).

“Il nostro barcarolo aveva un solo remo e con quello spingeva la barchetta, puntandolo contro il fondo che si vedeva perché l’acqua era bassa. Tutto intorno era buio, ma una dopo l’altra, alla luce fioca della lampada e delle nostre torce comparivano una dopo l’altra le colonne, altissime, i capitelli e le volte di mattoni che stavano sopra di noi. E poi alla fine, siamo arrivati alle ‘Meduse’, dove abbiamo girato per tornare indietro”.

Le Meduse già… due enormi teste di Medusa utilizzate come basi per sostenere due delle colonne della cisterna; oltre ad essere del tutto inaspettate, le due teste sono montate una di lato, come se fosse appoggiata su una guancia, e l’altra a testa in giù.

Insomma… a vedersele sbucare fuori dall’oscurità fanno una certa impressione!

Il racconto della visita in barca alla Basilica Cisterna di Enrico Zanini è piuttosto diverso da quello che potrei scrivere io che l’ho visitata molti anni più tardi; eppure, quando mi sono trovata lì, non ho potuto fare a meno di ricordarlo e riviverlo, almeno con l’immaginazione.

Oggi la Basilica Cisterna è una delle mete più frequentate di Istanbul; ogni giorno centinaia e centinaia di persone si mettono in coda per scendere a visitarla.

Le colonne sono illuminate e si cammina su un reticolo di passerelle che permettono di sentirsi un po’ in mezzo all’acqua che è bassa ma molto popolata di grossi pescioni che nuotano qua e là.

Nonostante che l’atmosfera non sia stata quella dei primi esploratori che ci sono scesi, quando ripenso alla mia visita, qualche piccolo brivido mi viene ancora; soprattutto per quelle due teste di Medusa con gli occhi spalancati e inespressivi, un po’ verdini per il muschio che l’umidità ci ha fatto crescere sopra.

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Si, proprio quei grandi occhi freddi, aperti per sempre nel buio e nel silenzio di uno spazio ricavato sotto la città, mentre sopra scorre la vita di ogni giorno, mi danno un senso di inquietudine. Prima di essere montate come basi per le colonne della cisterna, le due teste di Medusa decoravano probabilmente un arco monumentale (forse dedicato a Costantino) che doveva sorgere poco lontano e che venne poi smontato per riutilizzarne alcune parti. Dall’aria aperta della città finirono così nelle sue viscere, a vegliare la storia più profonda di Costantinopoli e poi di Istanbul; nate per il sole e per essere ammirate, si ritrovarono
immerse nel buio e nell’acqua, destinate a non essere più guardate se non dai pesci che, nuotando, hanno fatto loro il solletico per centinaia di anni.

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