I post del lunedì

La forma del ghiaccio

L’etichetta e il buon senso presupporrebbero che, dato il periodo dell’anno, io vi cantassi una lieta carola di Natale, e invece vorrei raccontarvi la tragica storia di un uomo.Non lo faccio perché ho un’anima gotica dalle sfumature burtoniane, né perché parteggio per la squadra degli “anti”, a me il Natale è sempre piaciuto. Anzi vi dirò di più, quello che mi piace è proprio il suo nostalgico lato kitsch: la guerra fredda condominiale delle lucine intermittenti, l’immutabilità dei palinsesti televisivi identici a se stessi nei secoli dei secoli, le assolutamente non necessarie 20 portate dei pranzi con clamoroso gran finale de “L’elefante alle olive” (cit.)… Ma torniamo a noi.
Che ci piaccia o no, questo è il periodo della vicinanza; per costrizione o per volontà, per caso o per consapevole organizzazione, volenti o nolenti è questo il momento in cui ci capita di più di stare con gli altri. Ed è per questo senso di vicinanza che voglio raccontarvi la storia di questo uomo vissuto più o meno 5300 anni fa.

Come archeologi abbiamo a che fare con gli uomini del passato ogni giorno, quello di ricostruire le loro storie a partire dalle loro tracce materiali è il nostro lavoro d’altra parte. Cercare i volti, le mani, gli occhi dietro agli oggetti che troviamo è, in estrema sintesi, il motivo che ci spinge a stare tante ore chini sotto il sole.
Il fatto è che il passato è stato disegnato da una moltitudine indefinita di anonimi; di queste persone potremmo descrivere la vita quotidiana, i rapporti commerciali, le abitudini alimentari, ecc, ma certamente non potremmo arrivare mai a conoscere le loro vite private e individuali (sto ovviamente parlando delle persone comuni).
Rimarranno, per forza di cose, sempre degli sconosciuti, è ovvio.
Capitano però, a volte, particolari circostanze grazie alle quali si ha la possibilità di avvicinarsi di più a quella singola e unica persona piuttosto che al generico e generale gruppo degli uomini. Per esempio succede quando si trovano i nomi bollati sui laterizi, o le impronte digitali lasciate sull’argilla fresca, o i corpi dei defunti. Sono tanti, piccoli elementi che permettono di avvicinarsi, anche solo di pochissimo, a quello o a quell’altro individuo. Come studiosa, e non solo in realtà, a parità di informazioni potenziali fornite, mi sento molto più coinvolta di fronte ad un’anfora graffita da uno schiavo ceramista rispetto ad una identica priva di iscrizioni. Il motivo è banale: la consapevolezza della presenza reale di un’altra persona che ha lasciato traccia di sé, rende quell’oggetto più familiare e vicino perché ponte tra me e quello schiavo vissuto migliaia di anni fa.

Bollo laterizio rinvenuto nel sito archeologico di Vignale (LI).

Nel cercare un esempio più concreto alle mie parole la scelta è ricaduta su Ötzi, la mummia del Similaun. Non è in realtà una scoperta recente, anzi, ma ho notato che in alcuni libri di storia per la scuola è menzionato quindi mi sembra un esempio adatto.

 

Nel settembre del 1991 due escursionisti tedeschi trovano un corpo umano ben conservato incastrato nel ghiaccio delle Alpi Venoste. Come spesso capita durante i ritrovamenti fortuiti, non vengono messe in atto pratiche di recupero scientificamente valide, anche perché inizialmente si è creduto si trattasse di uno sventurato alpinista, e per questo il corpo è stato danneggiato.
L’incredibile stato di conservazione è stato garantito dalle particolari ed estreme condizioni climatiche del luogo di ritrovamento.

image

 

Insieme al corpo sono stati rinvenuti tutta una serie di oggetti, anch’essi ben conservati, tra cui un copri capo di pelliccia d’orso, un paio di scarpe, un mantello, un’ascia con la lama in rame, una faretra con 14 frecce, una cintura di cuoio con un marsupio, gli elementi della struttura di uno zaino, due secchielli per contenere la brace. Questi gli oggetti che Ötzi, così venne ribattezzata la mummia, aveva con sé al momento della sua tragica fine.

image

 

Negli anni successivi alla scoperta sono state effettuate molteplici e specifiche analisi, dalla datazione al carbonio alle ricerche sul DNA, e grazie a questo sappiamo che Ötzi aveva tra i 30 e i 40 anni e doveva essere vissuto tra il 3350 e il 3100 a.C.
Conosciamo anche tutta una serie di altri dettagli interessanti: sul suo corpo sono stati contati 61 tatuaggi realizzati con tagli sulla pelle ricoperti da carbone, soffriva di artrite, aveva i denti consumati forse perché usati come utensili e i polmoni anneriti dall’inalazione del fumo del fuoco, tra i capelli sono state trovate particelle di rame, conseguenza del processo di fusione e il suo ultimo pasto doveva essere stato a base di carne di cervo, grano e birra. Ma è la sua morte a essere, forse, l’elemento più affascinante seppur drammatico dell’intera faccenda e ho notato essere anche l’aspetto che maggiormente ricordano i ragazzi.

Ötzi non è deceduto per cause naturali, ma per morte violenta. Sul suo corpo sono state trovate le tracce di ferite e contusioni che l’uomo doveva essersi procurato al massimo 48 ore prima della morte, tra queste vi era una profonda incisione sulla mano destra forse causata dal tentativo di fermare l’attacco di una lama. La presenza di sangue, anche non suo, sui suoi indumenti avvalora la tesi di una pericolosa aggressione, motivo questo che ha costretto Ötzi a radunare velocemente le sue cose e scappare verso la montagna. La scelta della fuga è abbastanza verosimile, primo perché non sembrano esserci molti altri motivi per spingersi così in alta quota, secondo, come hanno ben dimostrato alcune esperienze di archeologia sperimentale, le scarpe che indossava non erano assolutamente adatte per camminare sulla neve e sul ghiaccio. Ma non sono state queste ferite a uccidere Ötzi, bensì una freccia scoccata da uno dei suoi aggressori. All’interno della spalla sinistra è stata rinvenuta una punta di selce che per pochi millimetri non ha trafitto il polmone, ma ha causato la rottura dell’arteria dell’ascella provocando una forte emorragia. Il ghiaccio e il vento gelido hanno poi decretato la fine dell’uomo del Similaun.

Da un punto di vista antropologico e archeologico la scoperta di Ötzi è stata estremamente rilevante, grazie allo studio sono stati messi in luce aspetti della vita degli uomini dell’età del Rame, come le abitudini alimentari e le conseguenti elucubrazioni sulla capacità di movimento e reperimento del cibo, le armi e gli strumenti litici che si inseriscono nella facies di Remedello e determinano una differenziazione dello status sociale, o le aspettative di vita condizionate dalle risorse dell’ambiente (naturale e antropico).
Il fatto di avere inoltre a disposizione delle informazioni specifiche sul singolo uomo, come quelle riferite al suo ultimo pasto o riguardanti la morte, decretano e rafforzano, secondo me, una sorta di rapporto empatico tra lui e noi uomini del presente. Il primo e immediato punto di contatto non è dato dall’enorme mole di informazioni fornite dalla scoperta (questa è una fase successiva), ma dall’impatto emotivo suscitato dalle personali vicende dell’uomo Ötzi.

Di qui il senso di vicinanza che dicevo prima: quando in inattese circostanze si ha la possibilità di dare un volto o comunque identificare in qualche modo quelli che sono gli sconosciuti del passato, siamo colpiti da un involontario sentore di fratellanza, non certo dettato da qualche retaggio culturale o convenzione sociale, ma semplicemente nato dalla quieta consapevolezza di appartenere tutti alla medesima specie.

*Fonte immagini: www.iceman.it/it/oetzi-uomo-venuto-dal-ghiaccio

Lo staff di Archeokids si prende una piccola pausa, torneremo a raccontarvi le storie del passato a gennaio. Auguriamo a tutti gli archeokidders buone feste!

 

Comment here