I post del lunedì

I bambini nell’antica Grecia. Parte Prima

A partire da oggi – e per i prossimi miei due post del lunedì – voglio provare a condurvi per mano nell’antica Grecia, alla scoperta di come vivevano i bambini e le bambine circa 2500 anni fa e di quali erano i costumi, i riti, le tradizioni, i giochi legati all’infanzia.

Un viaggio straordinario e sorprendente per cui ringrazio infinitamente Flavia Frisone, docente di ‘Storia greca’ all’Università del Salento e instancabile narratrice di storie antiche. Il suo racconto appassionato, dettagliato e avvincente è un grande regalo per Archeokids e l’occasione per tutti noi di cogliere, al di là delle naturali differenze storiche, quelli che sono i tratti distintivi dell’infanzia in qualsiasi epoca ma anche i luoghi comuni e le discriminazioni che ancora oggi ricorrono in molti Paesi.

Spero che i grandi facciano leggere queste pagine ai bambini e mi auguro che i bambini abbiano tempo e voglia di riflettere sui loro coetanei di molti secoli fa.

Scena di vita quotidiana nell’antica Grecia con bambini che corrono per strada (fonte: BBC).

Partiamo dall’inizio, dalla nascita. Oggi quando nasce un bambino/a è consuetudine mettere un bel fiocco dietro la porta. E poi, soprattutto i primi giorni, è un continuo viavai di parenti e amici che accorrono per conoscere il nuovo arrivato e portare in dono regali e pensieri augurali.

Cosa succedeva nel mondo greco antico quando nasceva un bambino?

Beh, certe tradizioni le abbiamo ereditate proprio dagli antichi, quindi non ci si sorprende di sapere che anche nell’antica Grecia, in una casa in cui era arrivata la gioia di un nuovo nato si adornasse la porta d’ingresso con ghirlande di foglie oppure con nastri, a seconda che fosse un maschietto o una femminuccia.

Solo che dietro le somiglianze ci sono delle differenze sostanziali che rendono molto diverso il racconto dell’infanzia di ieri da quella di oggi. Prendiamo ad esempio quei segni di gioia dietro la porta: non vogliono dire la stessa cosa, e mentre i rami d’olivo che si usavano alla nascita di un bambino erano segno di gioia e di orgoglio per il nuovo erede che avrebbe portato onore e continuità alla famiglia, quelle bende bianche con cui si segnalava l’arrivo di una bimba erano un segno un po’ più ambiguo, perché quella dei greci era una società apertamente maschilista, e la nascita di una bambina era considerata spesso un inutile peso che si aggiungeva alle necessità della famiglia.

Kourotrophos: Statuetta in terracotta che rappresenta una donna seduta che allatta il suo bambino; da Myrina in Asia Minore, 20-70 d.C. (Boston Museum).

Inoltre la gioia di una nuova nascita non era, diciamo così, automatica o immediata. Infatti la nascita di un bambino non sempre implicava la sua accettazione da parte della famiglia: si aspettava qualche giorno, anche per essere certi che il neonato sarebbe vissuto, perché la mortalità infantile era alta e si riteneva che i primi giorni di vita fossero decisivi. Poi si poteva decidere se tenere e allevare il bambino o la bambina. La decisione spettava al padre: se accettava il figlio come suo lo accoglieva nel seno dell’oikos, cioè la famiglia, ma poteva decidere anche di rifiutarlo. Facendo così lo condannava a un destino terribile, essere subito ucciso o “esposto” cioè buttato via, magari al margine di una strada dove qualcuno poteva raccoglierlo e decidere di allevarlo. Ma era un’usanza molto comune e non era considerata un delitto. Solo la legge della città di Gortina, a Creta, prevedeva che, se il padre avesse rifiutato il bambino, la madre divorziata poteva scegliere se allevarlo o no.

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In questa stele è raffigurata una famiglia che offre in sacrificio ad Asclepio, dio della medicina, un toro e addirittura sua figlia, pur di ottenere in cambio la guarigione di una persona malata (fonte: BBC).

Altre città, come Sparta, potevano avere criteri particolari di selezione dei bambini appena nati, ma questa pratica era diffusa dappertutto e considerata normale. La triste verità è che non tutti i bambini che nascevano erano accettati, e soprattutto non lo erano le bambine. Fa molto riflettere una frase di un autore antico, Posidonio, che visse nel III secolo a.C.:

Un figlio, lo si alleva sempre, anche se si è poveri; una figlia la si espone anche se si è ricchi.

Solo in una regione della Grecia, la Beozia, una legge stabiliva che i bambini abbandonati fossero affidati allo Stato e allevati a spese pubbliche. Da grandi, avrebbero dovuto ripagare quello che si era speso per farli crescere!

Invece, se il neonato era accolto dalla famiglia si faceva festa, certo, e si celebravano dei riti che erano come una sua seconda nascita, una specie di riconoscimento ufficiale. Conosciamo il nome di queste feste ad Atene: si chiamavano Anfidromie, perché s’inscenava un rituale in cui il padre raccoglieva il neonato da terra e tenendolo fra le braccia lo portava in giro intorno al focolare, cuore della casa. Questo simboleggiava che il nuovo arrivato era diventato parte della famiglia ed entrava a far parte dell’oikos, che era non solo la famiglia in senso stretto, ma un nucleo molto forte di legami affettivi, economici e religiosi. In onore del nuovo membro, tutti i componenti della cerchia familiare portavano cibi e preparavano una grande festa. Un altro grande banchetto – con danze, doni e preparazione di dolci speciali – era la dekate, che si faceva qualche giorno dopo, in occasione della scelta del nome del bambino o della bambina.

Naturalmente le abitudini potevano variare molto a seconda se la famiglia fosse povera o agiata. Variava anche il modo di allevare i bambini: nelle famiglie modeste era la madre ad allattare il neonato e a occuparsi della sua cura, per i ricchi invece i piccoli venivano affidati a una balia che viveva in casa, li nutriva e curava, e in molti casi restava la loro nutrice per tutta l’infanzia. Le balie avevano grande importanza nei primi anni dei bambini appartenenti a famiglie ricche, per questo si sceglievano a volte delle bambinaie che venissero da città famose per la buona educazione che davano ai piccoli. Per esempio, come fino a qualche anno fa in Europa erano molto famose le “tate” inglesi o svizzere, in Grecia erano molto ricercate le bambinaie spartane.

Lastra tombale in marmo che raffigura la madre defunta che affida il suo bambino alle cure di una balia; Atene, 425-400 a.C. (British Museum, Londra).

Oggi si parla tanto (e spesso senza reale cognizione di causa) di ‘gender’, ossia di educazione alle differenze di genere. Quanto era diversa nella Grecia antica l’educazione dei bambini da quella delle bambine? Cosa era consentito ai primi e precluso alle seconde?

Nella Grecia antica la differenza fra maschi e femmine era molto netta, una vera e propria scala di valore. Anche le vite che normalmente uomini e donne conducevano – e le aspettative che aveva per loro la società – erano diverse. L’educazione di bambini e bambine variava di conseguenza. La prima formazione si riceveva a casa, dalla madre o dalla balia, se la famiglia poteva permetterselo. I primi anni d’infanzia erano dedicati al gioco, e i bimbi
vezzeggiati e coccolati, e castigati in caso di marachelle. E questo valeva per maschietti e femminucce. Certo, dalle bambine ci si aspettava che fossero dolci, ubbidienti, timide, che non si avventurassero fuori di casa. Dai maschietti si voleva invece che fossero forti e intraprendenti, anche se rispettosi. E questo implicava un trattamento diverso. Alcuni autori antichi ci fanno pensare che perfino l’alimentazione fosse diversa, e alle bambine si desse meno da mangiare.

Poi, con gli anni, le differenze crescevano: le bambine restavano in casa, imparavano dalla madre e dalle domestiche tutte quelle cose che avrebbero dovuto sapere da grandi: a cucinare, a guidare la casa, a occuparsi della sua amministrazione. Imparavano soprattutto a filare e tessere e a fare quei lavori necessari che nell’antichità si svolgevano soprattutto all’interno della casa. Questa era considerata la loro istruzione principale. In famiglia imparavano a scrivere e a leggere perché poteva essere utile all’amministrazione domestica e perché a loro volta avrebbero dovuto insegnarlo ai figli. E qui si insegnava loro a fare i conti, perché da loro sarebbe dipesa l’amministrazione della casa, e poco altro. I maschi invece, dall’età di sei-sette anni uscivano di casa per completare la loro istruzione con i loro coetanei e si immaginava che da allora in poi la loro vita si sarebbe svolta soprattutto a contatto con l’esterno.

Stare spesso fuori casa, invece, per le femmine era considerato sconveniente e, anzi, i loro contatti con gli estranei erano ridotti al minimo indispensabile.

Un’altra importante differenza era la durata dell’infanzia: mentre per i maschietti il periodo giovanile era più lungo, e passavano attraverso diversi momenti e fasi, fino all’età di diciotto-vent’anni, quando erano considerati maggiorenni, le bambine a undici-dodici anni erano considerate già giovani donne in età da marito e quando venivano date in moglie – fra i quattordici e i sedici anni, in genere – erano già in tutto e per tutto considerate donne adulte. Come si vede, questo ricorda alcune terribili usanze che nel mondo si hanno ancora oggi.

Una cosa interessante, e diversa dalle nostre abitudini, è il ruolo importante che avevano, nell’educazione sia dei maschi che delle femmine, la musica, il canto e la danza. Bambini e bambine, ragazzi e ragazze facevano parte di cori che eseguivano composizioni poetiche di valore religioso e civile nelle più importanti occasioni pubbliche, e la danza faceva spesso parte di queste manifestazioni. Anche la musica era un insegnamento di base per tutti e lo scopo di questo studio non era il divertimento puro e semplice, anzi, era un aspetto di un addestramento molto più serio, come quello militare per i ragazzi.

Certo nel mondo greco c’erano molte differenze fra stato e stato, cioè fra città e città, e anche l’educazione dei ragazzi e delle ragazze poteva variare molto. Per esempio, mentre ad Atene e nella maggior parte del mondo greco le bambine ricevevano un’educazione minima, come si è visto, e restavano in casa, Sparta era famosa per il fatto che dava anche alle ragazze un’istruzione molto simile a quella dei maschi, un’educazione che era a cura dello stato e, visto che aveva come fine tirare su delle ragazze robuste e coraggiose, comprendeva molte attività fisiche svolte all’aperto, con altre ragazze o addirittura con i maschi.

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Degas, “Giovani spartani che si esercitano nella lotta”, 1860 (National Gallery, Londra).

Anche nel corso del tempo le cose cambiarono molto: nel periodo arcaico, ad esempio, molte città erano governate dalle famiglie nobili e spesso in questi casi c’erano delle speciali forme di educazione per le fanciulle delle migliori famiglie: non a caso da Mitilene, una città di questo tipo, viene una famosa poetessa, Saffo, che ci racconta anche alcuni particolari di queste esperienze.

E, se nell’età classica l’educazione delle ragazzine era in genere piuttosto limitata, più tardi, in età ellenistica, non è raro trovare delle ragazze che ricevono un’educazione superiore, studiano e diventano addirittura delle filosofe o delle scienziate. Certo, non erano casi frequenti e, soprattutto, non erano ragazze qualsiasi.

Perché la verità è che la più grande differenza la faceva l’essere ricchi o essere poveri e i bambini dei poveri, maschi o femmine che fossero, dovevano soprattutto imparare a lavorare. E lo facevano fin da piccolissimi: e questo, purtroppo, lo vediamo anche oggi in tanti paesi del terzo mondo.

 

Comments (1)

  1. Magnifico post! Mi chiedo quanto sarebbero diversi i ragazzi di oggi se ci fosse più musica, danza e poesia nelle scuole.

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